E così abbiamo messo il naso fuori dalla porta. Oltrepassata la soglia di casa, il mondo nuovo ci è apparso con tutte le sue divisioni. Su autobus e tram cerchi colorati per terra ci indicano dove stare, adesivi che dicono «Vietato sedersi» disseminano i sedili e subito ti rendi conto che sei diventato un bruscolo disperso fra bruscoli. Uno qua e uno là, ognuno con la mascherina che copre mezza faccia, i guanti che proteggono le mani perché ogni cosa può essere infetta, gli altri che neanche ti guardano perché potresti essere un pericolo, una comunità di sospettati e sospettanti che si tengono a distanza. Fatichi a respirare, ti si appannano gli occhiali, i guanti di lattice ti prudono e conciato così ti senti come infilato in un preservativo, sterilizzato e inespressivo.

Se incontri qualcuno che dovresti conoscere sei preso da imbarazzi improvvisi perché nessuno dei due riesce più a identificare l’altro con sicurezza. È lui o non è lui? È la mia vicina di casa o una che non ho mai visto? Mi è capitato un imbarazzo del genere con una signora che lavora alla biglietteria di un cinema. Eravamo per strada ed è stata lei a salutarmi per prima perché, non avendo io la museruola (ebbene sì, trasgredisco quando giro per vie deserte) ero riconoscibile. Neanche lei era tanto in regola perché si era coperta naso e bocca con la coppa di un reggiseno imbottito che usava quando allattava il figliolo, che ora ha più di vent’anni e ciò la dice lunga sul suo cuore di mamma.

Il mezzo reggiseno era bianco con un lato bordato di pizzo e non aderiva per nulla alla faccia, non essendo stato pensato per quello. Non le ho detto niente perché fra refrattarie ai diktat ci si sostiene, però abbiamo mantenuto le distanze e ci siamo parlate a tre metri scoprendo ben presto che, così procedendo, tutto il circondario che aveva le finestre aperte poteva sentire chiarissimamente i nostri discorsi, la qual cosa ci ha un poco bloccato le confidenze. La nuova vita è così, siamo fuori di casa, ma ingabbiati in un reticolo di restrizioni e autocontrollo, quindi un po’ punto e a capo perché costretti, se vogliamo dirci i fatti nostri, a chiamarci al telefono, magari da un sedile all’altro dello stesso tram o dai lati opposti di un marciapiede.