Nei tg pubblici il governo straripa con percentuali altissime, quasi la metà del tempo di parola complessivo, mentre più in generale il sistema appare completamente intossicato dall’informazione politica che si prende oltre il 90% sia nei tg pubblici che privati.

Il novanta per cento! Una cifra sinceramente così esorbitante da far pensare, se non ci fosse di mezzo l’Agcom, ad un errore.

Ma anche senza i numeri allarmanti delle tabelle dell’Agcom di gennaio, non ci vuole molto a certificare l’invasione governativa in video di ministri, viceministri ed esponenti del governo: Di Maio, ma soprattutto Salvini, mattatori assoluti, quasi sempre con la complicità del giornalista di turno.

Di fronte a tutto ciò giunge dunque sacrosanto l’ennesimo monito dell’Autorità garante che ha richiamato nuovamente la Rai e Sky al rispetto delle regole del pluralismo, perdipiù in periodo elettorale, sottolineando l’assenza di contraddittorio e la mancata rappresentazione nei programmi di punti di vista differenti. Sotto la lente sono finiti anche il neonato TGPost, su Rai2, bacchettato per avere infranto il silenzio preelettorale sui sondaggi per il voto sardo (un esordio decisamente deludente) e Sky, che con il suo Tg ha regalato a gennaio il 55% del tempo di parola al governo, donando poi un altro 10% alle due forze di governo (Lega e M5S) e marginalizzando Pd e Forza Italia che insieme non arrivano al 13. Un bel record filogovernativo, che ci dice quanto sia fallace la tesi che vorrebbe risolta l’anomalia italiana privatizzando la Rai.

Detto questo, bene avrebbe fatto, però, l’Agcom ad estendere il richiamo anche a Mediaset, i cui telegiornali da alcuni mesi sono diventati, ma guarda un po’, veri e propri house organ berlusconiani.

I dati di gennaio sono la dimostrazione impietosa di una grave distorsione che, lungi dall’essere sanata, perdura nel tempo: la presenza del partito-azienda da sola uguaglia o addirittura sopravanza quella del governo. È il miracolo di un conflitto d’interessi che non interessa più a nessuno, grazie al quale Forza Italia troneggia sui canali Fininvest in maniera sproporzionata non solo rispetto al peso elettorale, ma fuori da qualsiasi criterio di ponderazione: al Tg4 infatti il partito di Berlusconi ha il 30,4% del tempo di parola (il governo il 30,6!), al Tg5 raccoglie il 23% (il governo il 31,7), a Studio Aperto sfonda con il 35% (mentre il governo ha il 24% e il Pd il 7,8): possibile che al Garante sia sfuggito un dato così macroscopico?

Tra l’altro, visto come le reti se ne infischino dei moniti di un’Autorità che pure a Natale aveva indirizzato un altro richiamo ufficiale a tutte le reti, rimane la brutta sensazione che la sorveglianza Agcom sia poco più che un pannicello caldo se non si accompagna ad una qualche sanzione seria.

La domanda a questo punto è se sia tollerabile una situazione dove l’informazione pubblica è appaltata al governo e quella commerciale ad un partito politico; se ci sia qualcuno a sinistra (a destra o al centro) che pensa ancora che questo sia un problema; se, infine, le alte cariche dello Stato (con la doverosa eccezione di Fico), i presidenti di commissione, gli artisti, gli intellettuali o qualche ignorante di talento (alla Celentano), non abbiano niente da dire in un paese il cui pluralismo, all’inizio del terzo millennio, versa in tali condizioni.