Il Pdl ha una nuova linea di difesa contro l’ineleggibilità di Silvio Berlusconi. È questa lo novità emersa ieri nella giunta per le elezioni al senato. Riuniti velocemente nell’unica pausa della maratona d’aula dedicata alle riforme, i senatori hanno fatto a tempo ad ascoltare la relazione del collega Augello (Pdl) al quale è toccato in sorte il collegio del Molise, quello per il quale ha optato il cavaliere (era capolista in tutt’Italia) e dal quale sono arrivati a palazzo Madama 10 ricorsi basati sulla legge del 1957 che stabilisce che i «titolari in proprio» di una concessione pubblica, come l’etere per le televisioni, non sono eleggibili.

La nuova linea di difesa teorizzata dai berlusconiani è che non c’è più alcuna concessione. L’ex sottosegretario Caliendo, delegato del Pdl all’interpretazione giuridica, spiega agli attoniti senatori che «dopo il decreto legislativo 177 del 2005 (Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici), non è più necessaria una concessione specifica da parte dello stato». Qualcosa di più si capisce leggendo la relazione di Augello, che però arriva alle stesse conclusioni partendo da una sentenza della Corte Costituzionale assai precedente: «Con sentenza n°112 del 1993 ha affermato che l’aspetto tipico concessorio ha esclusivamente riguardo all’assegnazione delle radiofrequenze; mentre per i rimanenti profili, quale l’esercizio dell’impresa, si tratterebbe di atti autorizzanti l’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti» del genere della libertà di manifestare il proprio pensiero (articolo 21).

E così, quando il senatore del Pd Felice Casson ha chiesto di acquisire agli atti il documento che comprova la concessione in favore di Mediaset, Caliendo ha risposto che «non c’è nessun documento specifico in questo senso». Al che il senatore Giarrusso, 5 Stelle, ha invocato la Guardia di Finanza. «Se è così – ha spiegato -, se non c’è un atto di concessione, Mediaset trasmette in modo abusivo e va subito oscurata». Ai fantasmi del 1984, quando Canale 5, Rete 4 e Italia 1 furono temporaneamente oscurate dalla decisione di tre pretori (ma un decreto Craxi rimise in onda le tv di Berlusconi) ha subito risposto Mediaset, sostenendo la stessa cosa dei suoi difensori in senato, ma con una terza e diversa motivazione. «L’istituto della concessione nel settore televisivo non esiste più dal luglio 2012 – hanno fatto sapere da Cologno Monzese – data in cui tutto il sistema ha abbandonato la tecnica analogica ed è passato alla tecnica digitale».

Digitale, Corte Costituzionale o Testo unico dei media, l’elemento comune è che il Pdl non punta più tutte le carte sul fatto che non sarebbe Berlusconi il titolare della concessione, bensì Fedele Confalonieri. La scelta deriva forse dalle più recenti osservazioni sulla legge Mammì o su una sentenza del 2004 della Consulta (come quelle esposte su queste pagine da Luigi Saraceni), o forse dalla recentissima sentenza d’appello che ha condannato il cavaliere nel processo diritti tv Mediaset, stabilendo che anche negli anni in cui era presidente del Consiglio restava il «dominus indiscusso» della sua azienda. E così ieri il Pdl ha fatto sapere di essere contrario all’acquisizione di quella sentenza perché, ha detto Caliendo, non è un atto legislativo. Ma sull’acquisizione dei documenti la giunta deciderà a maggioranza e Pd, Sel e 5 Stelle hanno i numeri. La seduta di ieri, durata solo un’ora e neppure tutta dedicata al caso Berlusconi, è stata solo una rapida ouverture. Augello «data la complessità giuridica e la rilevanza politica» ha chiesto di ascoltare gli orientamenti della giunta prima di pronunciarsi. Anche perché, ha detto, «la memoria difensiva del senatore Berlusconi potrebbe essere stata spedita e non ancora pervenuta». Poste (e lavori d’aula) permettendo, ci si avvicinerà al merito la prossima volta. «Devo sentire l’ufficio di presidenza, ma spero di convocare la nuova seduta la prossima settimana», dice il presidente della giunta Dario Stefano.