Qualcuno potrebbe credere che la grande fortuna di Indymedia sia stata quella di essere nata al posto giusto e nel momento giusto. Ma il termine «fortuna» è sicuramente sbagliato in quanto anche Indymedia come il cosiddetto movimento No Global non sono spuntati all’improvviso dal nulla: già da diversi anni piccole e grandi manifestazioni venivano organizzate localmente in occasione di incontri politici internazionali e, fin da prima del 1995, la rete internet è stata usata, soprattutto attraverso le Bbs (Bulletin Board System), la posta elettronica e le mailing list, per discutere, diffondere informazioni, coordinare e organizzare iniziative.

Alla fine degli anni Novanta del secolo scorso il web era già abbastanza diffuso e il terreno quindi più che fertile per far nascere il progetto di un mezzo di comunicazione indipendente. Il successo di Indymedia è quindi più che annunciato, anche se i mass media ufficiali (soprattutto in Italia) ci metteranno qualche anno a rendersene conto.

Più che frutto di una cosciente volontà censoria questo genere di omissioni è il risultato di un misto di provincialismo, di un certo modo di (non) fare informazione e di ignoranza rispetto ai movimenti e ai loro rapporti con le nuove tecnologie della comunicazione. Il sito seattle.indymedia.org venne messo on line il 24 novembre del 1999 e l’idea di un sito del genere può essere fatta risalire alle discussioni tenutesi nel giugno dello stesso anno in occasione del «Carnevale anticapitalista» che vide manifestazioni in decine di città e in diversi paesi.

Ma già nel 1996, in occasione della Convention democratica a Chicago, un gruppo chiamato Countermedia aveva deciso di raccontare le proteste e le dimostrazioni attraverso il web (Le pagine sono ancora presenti sul web, come memoria storica, qui http://www.cpsr. cs.uchicago.edu/countermedia/).
Il sito nasce come strumento informativo di un neonato Independent Media Center (Imc) per documentare le proteste contro il «Millennium Round» a Seattle, ma la sua attività non si esaurisce alla fine delle due giornate, anzi iniziano a comparire altri siti con lo stesso logo, uno dei primi già nel febbraio del 2000 a Boston. Prima negli Usa e poi in diversi paesi Indymedia si trasforma velocemente in una rete che copre buona parte del mondo occidentale.

Il software usato per il sito era stato sviluppato in Australia dal collettivo Catalyst e usato per la prima volta durante il Global Day of Action (18 giugno 1999) e permetteva a chiunque fosse in possesso degli strumenti adatti di pubblicare liberamente testi, immagini, audio e filmati.

Una cosa in quegli anni assolutamente rivoluzionaria, soprattutto se si tiene presente che i Cms (Content Management System, i software per gestire i siti web) più famosi non esistevano ancora: Drupal è del 2000, WordPress del 2003, Joomla del 2005. Le notizie su quello che stava accadendo a Seattle raggiunsero immediatamente tutto il mondo aggirando il filtro delle agenzie ufficiali anche grazie a Indymedia che si propose come un sito di informazione indipendente fatto e gestito direttamente da chi partecipava ai movimenti. Un sito che ebbe un immediato successo: già durante i giorni di Seattle collezionò più di un milione di visitatori, un numero impressionante ancora oggi.

Il primo testo pubblicato sul sito mise subito in chiaro la posta in gioco: «La resistenza è globale… La rete altera drasticamente l’equilibrio tra media multinazionali e attivisti. Con solo qualche riga di codice e alcune attrezzature economiche, possiamo creare un sito web automatizzato e in tempo reale che compete con le aziende. Preparati a essere sommerso dall’ondata di produttori di media attivisti sul campo a Seattle e in tutto il mondo, che raccontano la vera storia dietro l’accordo commerciale mondiale» (Era firmato “Maffew & Manse” e stava qui: http://seattle.indymedia.org/en/1999/11/2.shtml).

In realtà Indymedia è molto più che un modo per diffondere informazione indipendente in quanto diventa – fin dall’inizio – anche un prezioso strumento per organizzare le proteste a livello globale. Già alla fine del 2000 i nodi sono trenta, nel 2001 se ne contano almeno una settantina, compreso quello italiano, italy.indymedia.org, anche se la diffusione dei siti è prevalentemente statunitense e restano ancora fuori, soprattutto per ragioni legate alla lingua e alla diffusione degli strumenti informatici, tutte le regioni dell’Est Europa e buona parte di quelle africane e asiatiche. Negli anni successivi il numero dei nodi continua a salire, sono più di 80 nel 2002 e 122 nel 2003.

Tra il 2005 e il 2006, quelli che probabilmente si possono considerare gli anni di picco nella diffusione del network, i nodi locali di Indymedia arrivano a più di 170 e il loro numero continua, anche se in modo meno veloce, a crescere. La distribuzione continua a essere centrata sulle regioni del Nordamerica e dell’Europa, ma fanno la loro comparsa anche nuovi siti in Asia e Africa. La struttura portante delle pagine web di Indymedia, differenze grafiche a parte, è quasi sempre la stessa: una Home Page divisa in tre colonne con al centro quella delle Features, vale a dire i testi discussi in gruppo su una mailing list, e sulla destra il Newswire, ovvero l’elenco aggiornato in tempo reale di tutti i contributi pubblicati dagli utenti, nella colonna di sinistra c’è la lunga lista che elenca gli altri nodi della rete.

Ogni nodo locale era autonomo nel funzionamento, ma allo stesso tempo connesso e coinvolto nella rete internazionale. Chiunque poteva aprire un nuovo nodo territoriale, iscrivendosi a una lista chiamata imc-process e seguendo un processo di avvicinamento e formazione collaborativa sulle dinamiche principali del sito. Infatti, sebbene ogni nodo locale potesse organizzare alcuni dettagli in maniera diversa (le procedure di partecipazione alle mailing list per esempio, o il modo in cui il Newswire veniva organizzato), tutti i nodi, nel partecipare a questo «process», venivano organizzati attorno ai principi dell’open publishing e dell’orizzontalità.

Sono due le caratteristiche che contraddistinguono il funzionamento di Indymedia e che si potrebbero definire i suoi principi fondanti: la libertà di comunicazione e l’autorganizzazione.