I casi Almaviva e Sky sono solo quelli più visibili, perché per settimane hanno occupato le cronache: ma la fuga dell’industria e del lavoro da Roma sembra una realtà che per il momento non trova soluzioni. L’ultimo allarme lo ha lanciato Unindustria – l’associazione laziale dei confindustriali – in un duro messaggio indirizzato in particolare alla giunta grillina guidata da Virginia Raggi: «Roma è una città ferma, versa in una situazione di totale stasi e assenza di progetti». Ma a fine 2016 si erano già espressi i costruttori dell’Acer: «A circa sei mesi dall’insediamento della nuova amministrazione capitolina non siamo riusciti a percepire con chiarezza in che cosa consista la “visione” immaginata per la Roma futura», aveva detto il presidente Edoardo Bianchi durante l’assemblea annuale. La poltrona della sindaca era rimasta vuota, e aveva tentato una replica l’assessore Paolo Berdini.

NIENTE OLIMPIADI, Internazionali di tennis forse trasferiti a Milano, il progetto dello stadio della Roma nettamente ridimensionato, i rallentamenti sulla metro C: siano o meno ben motivate le singole decisioni, queste scelte sono state interpretate dal mondo imprenditoriale come lo stop definitivo a uno sviluppo che già da anni non decollava. «Siamo davvero preoccupati – ha spiegato Filippo Tortoriello, presidente di Unindustria – e da quando lo abbiamo detto sono passati più di duecento giorni. La decisione di Sky è stata associata anche alla mancanza di appeal di Roma. Qualcuno dice che se ci fossero state le Olimpiadi, Sky non sarebbe andata via».

Il colosso televisivo di Murdoch ha ormai fatto la sua scelta: Milano offre molte più infrastrutture, ha un contesto già sviluppato sul piano dell’industria dei media – sono presenti concorrenti come Netflix – e così si è deciso che circa 200 tra giornalisti e tecnici dovranno perdere il posto e altri 300 saranno trasferiti in Lombardia. Almaviva ha fatto tutt’altra scelta – puntando su nuove sedi in Romania – ma significativamente ha chiuso il call center più anziano del gruppo, quello romano (1.666 i licenziati), lasciando aperto a Milano, Palermo, Catania e Rende.

NUMERI CHE contribuiranno ad affossare il già triste quadro della Capitale: i quasi duemila cassintegrati delle due multinazionali abbasseranno ancora di più il reddito medio dei cittadini romani, già in pesante emorragia di euro da anni. Secondo l’ultimo rapporto del Rur – Rete urbana delle rappresentanze, uno studio svolto l’anno scorso per Cgil, Cisl e Uil – Dal 2009 al 2012 si è già registrata una forte contrazione del reddito medio procapite: da 21.716 euro annui a 21.331 (-1,7%), pari a circa 400 euro in meno.

Idem sul piano dello sviluppo: tra il 2001 e il 2013 l’industria romana ha perso il 14,8% di produzione, le costruzioni il 14,4%, il commercio il 5,1%, le attività professionali il 2,7%.

SE DAL 2000 AL 2015 gli occupati sono cresciuti da 1,56 milioni a 1,77 milioni, il tasso di occupazione si è però mantenuto costante intorno al 60% e soprattutto c’è stato un tracollo dell’occupazione giovanile, scesa da 21,7% al 12,7%.

Tornando ai redditi, e facendo riferimento alle dichiarazioni 2014, rispetto a un imponibile medio per contribuente di 21.825 euro, quello degli uomini è superiore del 19,7% alla media, quello delle donne inferiore del 19,6%. Per chi abita in periferia il reddito si riduce fino al 21,8%, a fronte di un +86,3% di chi abita nei quartieri centrali. Il che indica una forte polarizzazione tra le zone più ricche e quelle più povere.

AMPIA LA FORBICE anche tra le differenti classi di età: per i giovani fino a 29 anni il reddito medio non raggiunge neanche i 10 mila euro annui, mentre la fascia d’età 45-59 anni supera i 31 mila. Per gli over 75 si torna in basso: 14 mila euro. Fortissima la frustrazione per i servizi offerti dalla città: ben il 70% dei romani è infatti insoddisfatto per la mobilità rispetto al 14% dei londinesi, il 21% dei parigini, il 16% dei berlinesi e il 28% dei madrileni.

In un quadro del genere, dove si fa fatica a vedere miglioramenti sia nell’Atac (azienda dei trasporti) che nell’Ama (raccolta rifiuti), con i servizi pubblici che condannano la capitale al 21esimo posto in Italia (ultimo forum sulla Pa), dietro Milano, Bologna, Torino, Venezia, i sindacati chiedono una sorta di Patto con la sindaca Raggi, ma fino a oggi senza fortuna.

PATTO CHE DOVREBBE essere basato su cinque pilastri: rigenerazione e riqualificazione urbanistica, hi-tech, una migliore accoglienza turistico-culturale, l’efficienza della macchina pubblica e un nuovo welfare. «L’esodo verso Milano di aziende importanti come Sky dimostra la poca attrattiva della capitale – ci spiega Paolo Terrinoni, segretario generale Cisl Roma e Lazio – Ma le ragioni dell’abbandono sono più profonde e quasi tutte da addebitare alla cattiva gestione politica della città negli ultimi anni e alle promesse fatte e non mantenute come la creazione di una rete infrastrutturale moderna ed europea che renderebbe la capitale molto più efficiente, lo sviluppo di un piano digitale per cablare la città e una burocrazia più veloce».

«Roma è diventata la “capitale dei lavoretti” – riprende Terrinoni – D’altronde, come potrebbe essere diverso se, mediamente, i ragazzi romani che hanno meno di 30 anni non arrivano a guadagnare nemmeno 10 mila euro l’anno?». Cgil, Cisl e Uil chiedono «un’alleanza tra tutti i soggetti interessati, per concordare insieme interventi per la mobilità, progetti di inclusione sociale, il recupero edilizio, e soprattutto progetti di innovazione tecnologica applicati non solo all’industria esistente ma anche ai servizi, al terziario, alle attività commerciali. Senza tralasciare turismo e cultura».