Quaranta milioni di votanti tra i 20 e i 30 anni, una crescita che porterà il paese al quarto posto tra le potenze economiche nel 2050 e un’economia che come tante altre della regione è ormai animata da startup e app.

L’INDONESIA ARRIVA AL VOTO su una sorta di trampolino di lancio nonostante il passato, la corruzione e la burocrazia a rendere complicata la vita a tanti. Il paese rappresenta bene una tendenza asiatica: nel 2050 è previsto che proprio Cina, India, Indonesia e Stati uniti saranno le principali potenze mondiali.

LA COREA DEL SUD è stato il primo paese a sperimentare la rete 5G, i fondi di investimento cercano occasioni in Asia dove si procede velocemente verso una società cashless e governata da algoritmi che spingono a consumi e all’obbligo di un conto in banca. Pur con alcuni problemi tutte le economie dell’Asia sono in crescita e non poco (l’Indonesia cresce oltre il 5 per cento).

Secondo l’Asia Nikkei Review, «La spinta del presidente Joko Widodo a rendere l’Indonesia la più grande economia digitale della regione ha contribuito allo slancio: la sua amministrazione sta sostenendo diverse iniziative per promuovere 1.000 startup entro il 2020 con una valutazione complessiva di 10 miliardi di dollari e svolge un ruolo chiave nel programma Nexticorn , che riunisce promettenti startup locali con investitori internazionali per aiutare con finanziamenti di ultima generazione». Nel 2017 Jokowi ha ordinato ai ministeri competenti «di sostenere le start-up, anche offrendo sovvenzioni agli incubators, e ha facilitato le società di e-commerce a ricevere prestiti bancari a basso tasso», introducendo procedure fiscali semplificate «per quelli con fatturato annuale inferiore a 4,8 miliardi di rupie».

L’INDONESIA, così come gran parte dell’Asia, si sta trasformando enormemente, andando a finanziare la crescita dell’economia delle app e delle «piattaforme», destinata a modificare in modo netto anche la società interna. Il quadro è stato fotografato in modo perfetto da Valerie Mercer-Blackman, senior economist all’Asian Development Bank: «Durante l’Era delle esplorazioni dal XV secolo al XVII secolo, gli europei si trasferirono in Asia per sfruttare le risorse locali e colonizzare le nazioni della regione. Nel ventesimo secolo abbiamo assistito a una migrazione massiccia degli asiatici verso l’Europa e gli Stati uniti: ora alcuni di questi flussi vengono reindirizzati verso l’Asia». Dove c’è ricchezza, dinamismo sociale e una classe media in espansione che chiede sempre più spazio, offrendo sempre più mercati.

Eppure in Europa e ancora di più in Italia continuano a vivere in un’epoca che non c’è più, un’epoca nella quale il capitale sta giocando le sue partite più importanti in un’altra area di cui noi sentiamo il rimbombo quasi sempre attraverso la porta attualmente più grossa di quella regione, la Cina. E ovviamente anche nelle elezioni indonesiane Pechino – come già capitato in Malaysia, Maldive e in varie crisi politiche regionali – è il convitato di pietra.

LA CINA è il paese che concepisce il proprio potere in senso globale e la cui presa si diffonde a cerchi concentrici sfumando via via nei punti più distanti. Ma è in Asia che gioca la sua principale partita tanto più oggi. Per questo uno dei temi della campagna elettorale è la «presenza» incombente della Cina. L’ex generale Prabowo Subianto ha infatti basato molta della sua campagna elettorale accusando il rivale di «aver venduto» il paese alla Cina.