Dopo i lavori pionieristici di Régine Pernoud, di Edith Ennen e soprattutto dopo l’illuminante quanto sottoutilizzato Donne e cultura nel Medioevo di Peter Dronke (1986), il ruolo culturale della donna nell’età di mezzo è stato oggetto di un fervore di studi quasi frenetico: in Italia fra i tanti titoli che hanno segnato il percorso, Medioevo al femminile (Laterza 1989, ristampato nel 2018) di Bertini-Cardini-Leonardi-M. T. Fumagalli offre ritratti folgoranti di Egeria, Baudonivia, Dhuoda, Rosvita, Trotula, Eloisa, Ildegarda e Caterina, mentre Le grandi donne del Medioevo di Ludovico Gatto (Newton Compton 2018, ora anche in epub) presenta un’ampia galleria di personalità politiche e artistiche e una concisa ma solida introduzione al problema storiografico; il Medieval Woman’s Companion curato da Susan S. Morrison nel 2017, che ha generato anche un popolare blog, dipinge oltre 200 profili di individualità femminili significative e l’archivio online Epistulae della Columbia University pubblica centinaia di lettere scritte da donne in quell’epoca. Un nuovo centro di studi (battezzato Mediaeva) è in corso di istituzione alla Sapienza e all’Università di Siena, ma ormai ovunque una importante e qualificata corrente di gender studies sostiene l’esplorazione della presenza femminile nella società e nella cultura del millennio intermedio, confortata dal continuo affioramento di testi prima poco noti: si pensi solo al Concilio di Remiremont, recentemente tradotto per la prima volta in italiano da Irene Spagnolo (Pacini 2020): una parodia conciliare del XII secolo in cui le donne di un monastero discutono con disinvoltura su quale sia l’amante migliore.
In questo panorama il nuovo lavoro di Chiara Frugoni, maestra di iconologia (Donne medievali Sole, indomite, avventurose, il Mulino, pp. 405, euro 40,00), apporta una integrazione significativa: il confronto con le immagini, che questo volume offre in quantità impressionante (201, tutte a colori) e qualità cromatica spesso rutilante, considerato che la gran parte proviene da manoscritti di non facile reperibilità. Attraverso miniature, bassorilievi, mosaici e affreschi l’autrice sceglie di mettere in luce aspetti a volte noti a volte più nascosti di personalità eccellenti, che certo «emergono» dalla folla di «donne in ombra», ma che in quest’epoca emergono sicuramente più che nelle precedenti, dove le donne sono rimaste (quasi) tutte in ombra.
La prima è Radegonda, principessa turingia presa in ostaggio dal re merovingio Clotario e diventata sua moglie, quindi regina dei Franchi, che con fermezza lasciò corona e marito per sfuggire alle sue violenze e dispiegò un’energia inesauribile e una fantasia vivissima in attività assistenziali (e perfino ludiche o culinarie) e mortificazioni corporali, ritirandosi a vita religiosa e favorendo poi la fondazione di un’abbazia destinata a durata millenaria: nel suo caso le 22 miniature del manoscritto 205 di Poitiers presentano una narrazione parallela e talora divergente rispetto alle biografie complementari che ne scrissero Venanzio Fortunato e la monaca Baudonivia. Segue Matilde di Canossa, la cui vita è di per sé un romanzo di scontri e di creatività politica e sociale, che il biografo Bonizone cerca di monumentalizzare in un poema celebrativo e che in alcuni manoscritti (specie nel coloratissimo Vaticano latino 4922) trova riflessi iconografici e simbolici la cui sapiente decifrazione apre al lettore il complesso codice di comunicazione multimediale dell’epoca; la papessa Giovanna, figura letteraria ma creduta storica di donna fintasi maschio e diventata papa prima che un parto la smascherasse, rappresentata con strategie valoriali diverse nelle illustrazioni che accompagnano le diverse narrazioni manoscritte della sua incredibile vicenda: qui l’autrice coglie l’occasione per una divertente divagazione sulla sedia «stercoraria» del papa che alcuni studiosi riconducevano alla necessità di verificarne il sesso dopo l’imbroglio della papessa; Christine de Pizan, l’autrice illustrissima della Città delle donne divenuta icona pop quando perfino Google le ha dedicato un doodle (qualche giorno fa): della sua autorappresentazione nei manoscritti Frugoni sa spiegarci perfino la scelta dei colori negli abiti (blu); e infine Margherita Datini, moglie del mercante Francesco e custode, oltre che coautrice, di un epistolario di 140mila lettere (in volgare) conservate e in parte digitalizzate nell’Archivio di Prato, dove è tuttora visitabile il sontuoso Palazzo di famiglia, che ci aprono l’universo del quotidiano domestico ed economico del tardo medioevo: qui le immagini si limitano a estratti delle lettere autografe e alle rappresentazioni dei coniugi in due dipinti conservati a Prato e a Roma, ma non sono meno preziose.
I profili di queste personalità sono introdotti da due capitoli più generali sulla condizione femminile nella società dell’epoca (Donne in ombra e Il corpo peccatore, il corpo senza peccato. Eva, Maddalena e Maria) e sulle presunte basi bibliche che potevano giustificarla sul piano teologico (ma ben più forti di quelle teologiche erano le preesistenti dinamiche socio-economiche): su questo argomento è inevitabile trovare testi, anche privati (come l’aspro rimprovero di un abate al vescovo Ildeberto di Lavardin, notoriamente sensibile al fascino femminile) e perciò non sempre rappresentativi, che esprimono una misoginia tanto esibita quanto velleitaria, intesa proprio a scalfire il crescente potere che in molti contesti, soprattutto aristocratici o monastici, era esercitato dalle donne. Fonti del genere si trovano in abbondanza, così come si trova il loro contrario, cioè l’elogio della donna come vertice della creazione, ma ovviamente non possono essere assunte come specchio fedele della società, perché si rischierebbe di scambiare per dato storico un cliché: la subordinazione della donna è infatti un tratto dominante non del «medioevo» ma di tutte le società umane fino alla recente contemporaneità e anzi proprio il medioevo, con la sequenza imponente di donne di potere e di donne filosofe, teologhe, musiciste, mediche, viaggiatrici, mistiche rappresenta un primo mutamento significativo rispetto all’epoca greco-romana nella quale la donna, che Aristotele definisce «inferiore per natura», non può avere ruoli pubblici né accesso agli studi.
Se è facile trovare dichiarazioni misogine anche nel «medioevo» è perché continuano a essere prevalentemente maschiliste sia – come quasi ovunque sino a oggi – la società, specie nelle classi economicamente più indifese, sia soprattutto la rappresentazione teorica che ne forniscono gli intellettuali (più i teologi dei poeti), spesso provenienti dal clero e dunque impegnati a contrastare la possibile seduzione di una figura la cui attrazione minacciava il loro stesso status celibatario e la cui ascesa sociale minacciava equilibri consolidati. Ma la quantità, qualità e varietà non casuale della presenza femminile nei contesti storico-politici e letterari del medioevo ci rivela una realtà più articolata, contro la quale la letteratura misogina rappresenta appunto un tentativo di reazione, altrimenti non necessaria.
Di questa presenza, le immagini interpretate nel volume di Chiara Frugoni ci aiutano a scoprire anche il codice iconografico.