Nella nota precedente ci si chiedeva come designare quanto sale oggi dal fondo della società italiana. Un fondo, si dica, ben consolidato e reso vigoroso da un decorso di quattro decenni che nel suo svolgersi, a far data dagli anni Ottanta, ha sottoposto ad una continua opera erosione la Costituzione entrata in vigore nel 1948. In che misura, allora, pure ci si domandava nella nota precedente, il ricorso alla chiave ermeneutica ‘fascismo’ può orientare nell’indagine sulla odierna temperie politica italiana, e quanto, al contrario, di questo attuale emergere, essa può nascondere o travisare? Con il proposito di approfondire sia i numerosi aspetti che risultano congruenti con la vicenda italiana tra 1919 e 1945 (ma il fascismo, sappiamo, non va considerato un tutto compatto e lineare: lo contrassegnano fasi diverse e la prima regola per intenderlo è la rilevazione delle sue interne, non univoche istanze: accanto ad alcune portate a compimento, altre interdette, altre eluse); e sia con l’intento di mettere in luce gli elementi al tutto nuovi che caratterizzano le insorgenze antiparlamentari ed autoritarie attuali, nella scorsa nota si richiamava la novità rappresentata dalla dimensione mediatica e digitale entro la quale si esercita la violenza (dei linguaggi, dei comportamenti e delle azioni).

Un dato di fatto, quello mediatico (ossia televisivo, e del twitter e delle reti social, di gran lunga più influente e penetrante della stampa, intendo dire d’ogni qualunque formulazione attraverso la scrittura d’un ragionamento articolato) che risulta essenziale ai modi attuali della politica. Sta di fatto che quelli oggi dominanti, quelli che ottengono un consenso ed una consistente approvazione sono i modi improntati alla grossolanità, all’imparaticcio, all’improntitudine, quando non alla esibizione, negli esponenti di secondo rango (ma già il primo è un rango ampiamente declassato), della ignoranza camuffata come la virtù di chi sta con i sentimenti del popolino e non se ne distacca. Così che riscuote il gradimento maggiore il demagogo che vellica intenzioni inferiori ed infime, senza nemmeno vietarsene gli esiti feroci; e guadagnano grande seguito gli imbonitori di primo pelo che, grazie alla inesperienza irresponsabile, alla assenza di cognizioni amministrative, giuridiche, finanziarie eccetera, si applicano alla soddisfazione di aspettative diffuse presentate come elementari e dovute. Modi tutti, questi ora richiamati, che furono costitutivi nell’Italia del primo dopoguerra, tra il 1918 e il 1926, del composto sociale e culturale di cui, per un verso, si alimentò il movimento fascista e che riuscì allora, per altro verso, a catalizzare ed indirizzare. Dunque grande cautela nell’istituire attestabili corrispondenze, e puntualità ed esattezza nell’indicare quanto la situazione italiana attuale mostri di assonante, di conforme o di collimante con i paradigmi fascistici. Ad esempio nei modi propri della maggioranza parlamentare che esprime il governo e dei suoi ministri.

La cronaca racconta del vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli interni della Repubblica italiana che raccoglie in volume una intervista sulla sua formazione, i suoi convincimenti politici e programmatici. Ne affida la stampa ad una casa editrice che ha in catalogo collane esclusivamente dedicate a testi sul fascismo e il nazismo e su figure di fascisti e di nazisti, ad opera di autori fascisti e nazisti. L’editore stesso si dichiara nazifascista militante. «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure», recitano il primo ed il secondo comma dell’art. 21 della Costituzione. Nulla dunque da eccepire riguardo ad una attività editoriale. Le idee si difendono e si combattono con le idee. Il vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli interni in carica della Repubblica Italiana sceglie una casa editrice dichiaratamente nazifascista per presentarsi, per diffondere tra i suoi connazionali gli intendimenti politici che persegue. Chiedo: questa sua scelta ‘culturale’ va intesa come sicuro indizio d’una risorgenza fascista in atto?