Lunedì oltre 10.000 persone hanno partecipato a Budapest alla «giornata dell’indignazione» organizzata per protestare contro la corruzione e l’aumento delle imposte. Anche in questa occasione l’iniziativa è stata promossa da gruppi della società civile critici verso il governo guidato da Viktor Orbán. Il passaparola è avvenuto attraverso i network sociali che da tempo costituiscono uno strumento di protesta e di mobilitazione degli ambienti attivi nella denuncia delle politiche dell’esecutivo che l’opposizione definisce antidemocratiche.

I partecipanti, semplici manifestanti ed esponenti di una decina di organizzazioni sindacali, si sono riuniti di fronte al palazzo del Parlamento per testimoniare il loro dissenso nei confronti di un esecutivo giudicato autoritario e colpevole di isolare il paese. Occorre dire che l’iniziativa ha lasciato scontenti diversi sostenitori delle proteste antigovernative. Ieri diversi articoli e interventi effettuati sui network sociali da parte di rappresentanti degli ambienti progressisti e liberali che da anni criticano Orbán e il sistema di potere da lui creato, hanno espresso insoddisfazione per come si è svolta la manifestazione. In particolare è stato stigmatizzato il basso livello degli interventi dal palco, troppo pieni di slogan e poveri di contenuti, caratterizzati da attacchi al governo formulati in modo grossolano e non tale da coinvolgere realmente i presenti e costruire un più ampio consenso alla critica nei confronti dell’esecutivo.

In questo modo, secondo gli autori degli articoli e dei post scritti e diffusi per lamentare questo stato di cose, non si può costruire un’opposizione popolare veramente incisiva e credibile. Troppe le frasi fatte, troppo gratuiti i termini “goliardici” che a quanto pare sono risuonati nella serata di lunedì davanti all’edificio dell’Assemblea nazionale. Così, per strada e sui social network, c’è chi, da sostenitore del partito di governo, provvede a screditare i manifestanti e a sottolineare la scarsità di argomenti.

«Poco abituati alla critica politica e non in grado di usare la piazza», così si sintetizza negli ambienti vicini all’opposizione. Intanto, ultimamente, il botta e risposta tra Budapest e Washington risulta essere in primo piano rispetto ai conflitti esistenti da tempo fra l’esecutivo ungherese e l’Unione europea. Di recente le autorità americane hanno negato il visto di ingresso ad alcuni personaggi dell’establishment ungherese, tra essi funzionari governativi sospettati di corruzione. Per il centro-sinistra si tratta di un grave monito nei confronti di un governo antidemocratico che si è messo dalla parte di Putin nella crisi ucraina. I vertici americani hanno di recente espresso critiche severe nei confronti dell’esecutivo guidato da Orbán per i suoi metodi «repressivi» nei confronti delle Ong che non accettano la politica del governo e per lo scarso impegno nella lotta alla corruzione.

Le autorità magiare rispondono che gli Usa sono male informati su quanto accade in Ungheria e stigmatizzano la presenza dell’incaricato d’affari all’Ambasciata americana, Andre Goodfriend, alla prima manifestazione contro la tassa sull’uso di Internet. Quest’ultimo è stato definito un agitatore, un agente della Cia, dall’europarlamentare Fidesz Tamás Deutsch. Ma anche qualche osservatore legato agli ambienti progressisti ha iniziato a criticare le apparizioni pubbliche di Goodfriend a iniziative organizzate dall’opposizione. Una cosa sconveniente, è stato fatto notare, in quanto il personaggio rappresenta ufficialmente un paese terzo.

Diversi esperti fanno comunque notare quanto le manifestazioni svoltesi ultimamente siano il segno di un malcontento sempre più ampio nei confronti dell’esecutivo.