Ieri i contadini mobilitati da un anno alle porte di New Delhi si passavano bocconi di cibo l’un l’altro (e anche ai soldati), mentre i più giovani esultavano sui trattori celebrando la prima, storica vittoria. Infatti il primo ministro dell’India Modi ha annunciato la decisione del governo di abrogare le tre leggi che liberalizzavano il mercato agricolo a favore delle grandi imprese e a scapito del mondo rurale. È avvenuto «nel 358esimo giorno di una lotta unita, pacifica e perseverante per il ripristino della democrazia nel paese», come ha precisato il coordinamento di quaranta organizzazioni contadine Samyukt Kisan Morcha (Fronte unitario contadino).

Dal 26 novembre 2020, sotto gli occhi distratti del mondo, si è svolta una lotta oceanica e incessante che sembrava di altri tempi, con la presenza alle porte di Delhi (Singhu border) di decine di migliaia di contadini, barbe bianche o nere, donne di ogni età, ragazzi provenienti dai villaggi di diversi Stati, organizzati con tende, cucine da campo solidali, presidio medico. Hanno sopportato il freddo, poi il caldo, gli assalti cruenti della polizia. Nel mese di gennaio 2021, decine di milioni di contadini sono scesi nelle strade indiane per lo sciopero di protesta (Bandh), riconvocato a settembre. Movimenti di donne, tribali, lavoratori hanno offerto appoggio.

Gioia ma anche cautela fra gli attivisti: «Torneremo a casa solo quando vedremo risultati concreti», ha detto Kamdan, piccolo agricoltore dello Stato dell’Haryana, mentre per la contadina Parminder Kaur «ha vinto la nostra pazienza».

«La lotta paga», sottolineano le organizzazioni che fanno parte del movimento internazionale La Vía Campesina. Sintetizza l’Associazione rurale italiana (Ari): «Dopo un anno di mobilitazione ininterrotta, il governo nazionalista e neoliberista ha ritirato le tre controverse leggi che colpivano il mondo contadino. Complimenti ai contadini e alle contadine indiani». Di «vittoria massiccia»parla La Vía Campesina.

Giorni fa il movimento, presente in oltre 80 paesi, aveva lanciato l’idea di internazionalizzare l’anniversario della lotta, il prossimo 26 novembre: «Chiediamo ai nostri aderenti di realizzare azioni di solidarietà e diffonderne le immagini, con l’hastag #SaluteToIndiasFarmers, spiegando come la privatizzazione e liberalizzazione colpiscano i contadini anche negli altri paesi. Quella in India è una mobilitazione storica, la più grande dei tempi recenti (…), malgrado l’oppressione e i tentativi di criminalizzare il movimento. Almeno 650 contadini hanno perso la vita in questi mesi». In ottobre, cinque attivisti sono stati uccisi da un’auto guidata dal figlio di un ministro.

La protesta contro Modi è andata in scena anche a Glasgow alla Cop26 sul clima, grazie alla diaspora indiana che ha manifestato con lo slogan «La lotta dei contadini indiani è la nostra lotta». Ma che questo movimento «storico e nonviolento» (così l’ha definito Ashish Mittal, uno dei principali promotori del gruppo All India Kisan Mazdoor Sabha) non debba interrompersi appare chiaro nella cautela del coordinamento Samuykt Kisan Morcha che, rendendo «umile omaggio» agli agricoltori morti, avverte: «Aspettiamo che l’annuncio del primo ministro abbia seguito in Parlamento. E ricordiamo che la nostra agitazione riguarda anche la garanzia legale di prezzi remunerativi per tutti i prodotti agricoli e per tutti gli agricoltori».

Rakesh Tikait, leader del sindacato Bhartiya Kisan Union (Bku), ha avvertito che l’annuncio di Modi potrebbe essere una manovra elettorale, visti i timori del suo partito per le prossime elezioni in vari Stati.