Il Citizen Amendment Bill (Cab) è praticamente legge da un paio di giorni – manca solo la firma del presidente indiano Ram Nath Kovind – e le proteste di piazza in India si sono già diffuse a macchia d’olio. La nuova legge, che discrimina i migranti musulmani nelle procedure di richiesta della cittadinanza indiana, è interpretata come il primo passo verso un settarismo di stato che mina i principi di uguaglianza e secolarismo su cui si è fondata l’idea di India partorita dai padri della patria nel 1947.

Ormai in stato di decomposizione sotto il suprematismo hindu del Bharatiya Janata Party del primo ministro Narendra Modi, a difesa di quell’India in via d’estinzione hanno manifestato centinaia di studenti della Jamia Milia University di New Delhi, ateneo di prestigio per la comunità musulmana indiana. Il governo ha risposto con manganelli e lacrimogeni, spedendo quasi 70 persone all’ospedale.

Ad Aligarh, centro universitario nello stato dell’Uttar Pradesh che ha formato generazioni di intellettuali musulmani, il governo locale targato Bjp ha sospeso internet proprio per impedire agli studenti di organizzare una marcia di protesta.

E ancora, a centinaia hanno protestato nel distretto di Howrah, nel Bengala Occidentale, ad Hyderabad, nel Telangana, e a Gaya, in Bihar, con auto date alle fiamme e blocchi di stazioni e arterie stradali. In questi casi, le proteste sono state organizzate da sigle della comunità musulmana: iniziative molto rare da parte di una minoranza religiosa da 200 milioni di persone che in questi anni, sotto i colpi del suprematismo islamofobo della destra indiana, ha saputo dimostrare un contegno e una freddezza che ha del miracoloso. Ora, con lo spauracchio di un censimento nazionale (National Register of Citizens) che il Bjp vorrebbe introdurre in tempi brevi per «scovare gli immigrati illegali» ma che è inteso come una misura per espellere musulmani indiani privi di documentazione, la misura sembra essere colma.

In Assam, dove quel censimento è stato implementato in un progetto pilota, le proteste si protraggono da quasi una settimana. Ma sono manifestazioni che criticano le politiche governative «da destra»: gli assamesi contestano una misura che incoraggerebbe l’immigrazione hindu dal vicino Bangladesh.

E qui, dove gli scontri tra manifestanti e autorità sono stati più violenti, New Delhi ha applicato la ricetta kashmira: coprifuoco ed esercito mandato a sedare la rivolta. Mentre scriviamo, il bilancio è di due manifestanti uccisi dal fuoco della polizia e una decina di feriti.

Le opposizioni, alla spicciolata, hanno formulato una prima risposta politica al Cab. I chief minister di Punjab, Bengala Occidentale, Chhattisgarh, Kerala e Madhya Pradesh – tutti stati non governati dal Bjp – si rifiuteranno di applicare la nuova legge federale. Tutto da vedere se sarà loro permesso farlo.

Si è fatto sentire anche l’Onu. Con un comunicato, l’ufficio per i diritti umani si è detto «preoccupato» per la nuova legge «fondamentalmente discriminatoria in natura».