«Uscita incentivata». Ovvero: prima di buttarvi dalla finestra ci offriamo di accompagnarvi alla porta. È da qualche giorno, ormai, che la Indesit Company ha cominciato a mandare lettere a venticinque suoi dirigenti per trattare un fine rapporto il meno doloroso possibile. Questi licenziamenti «incentivati» dovrebbero avvenire a stretto giro di posta, «secondo le norme del Contratto nazionale per i dirigenti di aziende industriali», come informano dall’azienda.

Per tutti gli altri, intanto, le trattative con i sindacati sono già cominciate, ma non si capisce ancora bene se ci sia o meno uno spiraglio di luce in fondo al tunnel. Ancora l’azienda rassicura che «nessuno verrà licenziato», qualsiasi cosa possa voler dire visto che il «piano di razionalizzazione» parla abbastanza chiaro: 1425 esuberi (di cui 1250 operai) tra gli stabilimenti marchigiani e quello di Caserta, con nuove aperture in Turchia e Polonia, dove saranno realizzati prodotti «di fascia bassa», lasciando in Italia quelli di lusso e tutto il settore sviluppo.

In attesa di capire qualcosa di più su quello che sarà (si parla di 70 milioni di investimenti in Italia), la protesta avanza: nella giornata di oggi, gli stabilimenti di Melano e Albacina sciopereranno per quattro ore, in occasione dell’arrivo in terra marchigiana della segretaria della Cgil Susanna Camusso, che nel pomeriggio incontrerà i lavoratori della Indesit e di altre aziende in crisi: Cotton Club, Cava Gola della Rossa, Quadrilatero ed ex Antonio Merloni.

Il clima continua ad essere cupissimo, le assemblee in fabbrica si sussegono giorno dopo giorno e, anche se la situazione sembra pressoché disperata, nessuno è intenzionato ad arretrare di un millimetro. La tensione è alle stelle, tanto che la settimana scorsa un sindacalista ha accusato un malore durante un sit in di protesta.
Mercoledì scorso sono cominciati gli annunciati turni di cassa integrazione a Fabriano, con la storica sede di Melano che si avvia verso la chiusura definitiva. Anche a Comunanza (Ascoli) non si fermano i presidi degli operai davanti ai cancelli della fabbrica: a quanto si apprende, qui i tagli interesseranno 230 lavoratori su 600.
Intanto, comincia a muoversi anche la politica, seppur con i consueti riflessi lentissimi. Il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, ha annunciato che nel corso di questa settimana inconterà l’ad della multinazionale, anche se, tiene a precisare, «naturalmente il tavolo formale è di competenza del ministero dello Sviluppo Economico». La Fiom, dal canto suo, parla di «stato di calamità industriale» e punta il dito contro Anna Paola Merloni, discendente della potentissima famiglia proprietaria di Indesit, ex senatrice del Pd e rieletta a febbraio, ancora a Palazzo Madama, con Scelta Civica di Monti: «Il suo silenzio – dice Fabrizio Bassotti dei metalmeccanici della Cgil – è assordante. Non solo in qualità di parlamentare eletta sul territorio, ma anche come co-proprietaria di Indesit, non può sfuggire alle proprie responsabilità. Dica la sua, se è d’accordo o meno su questi tagli, altrimenti si dimetta perché deve al suo elettorato delle spiegazioni su cosa sta succedendo nell’azienda della sua famiglia, nella quale figura anche come esponente del consiglio d’amministrazione».

Sul fronte del governo regionale tutto tace, o quasi: periodicamente escono comunicati stampa nei quali la giunta esprime solidarietà, mentre il presidente Gian Mario Spacca (tra l’altro anche lui con un passato da dipendente Merloni), dopo aver fatto timidamente presente all’azienda che «è necessario cambiare piano industriale», non ha dato più notizie di sé.