Nella regione più marginale d’Italia, quella più bistrattata e maltrattata in termini di mobilità, dove un viaggio in treno da Reggio Calabria a Sibari può durare anche 9 ore per 350 km di tratta, accade che il board della più importante infrastruttura, l’aeroporto internazionale di Lamezia Terme, finisca dritto in galera.

E’ un momento delicato per gli scali calabresi. L’aeroporto Pitagora di Crotone è chiuso da ottobre (nonostante abbia registrato picchi di movimentazione passeggeri), il Tito Minniti di Reggio è in smobilitazione, Alitalia ha comunicato che non volerà più. Ieri il terremoto abbattutosi su Sacal, società mista, che vede fra i soci l’impresa Lamezia Sviluppo di Antonino Tripodi, il comune di Lamezia (20%), l’amministrazione provinciale (11%) e comunale di Catanzaro (6%) e Aeroporti di Roma.

E sotto le macerie potrebbe finire non solo l’hub lametino, ma anche il già precario sistema di trasporti calabrese.

Da febbraio Sacal gestisce, infatti, anche gli scali moribondi di Reggio e Crotone.

L’inchiesta della procura di Lamezia sull’aeroporto più importante della Calabria, il terzo del Mezzogiorno, che movimenta milioni di passeggeri con un fatturato annuale di 20 milioni e che gestisce anche l’indotto (alberghi, uffici, negozi), evidenzia, ancora una volta, la gestione clientelare del mercato del lavoro, con la connivenza di esponenti della politica locale.

L’elenco dei reati ipotizzati è lungo: peculato, corruzione, abuso d’ufficio, falso in atto pubblico, millantato credito, induzione indebita a dare o promettere utilità. C’è il classico scenario di utilizzo del denaro pubblico per fini privati. L’operazione è stata ribattezzata Eumenidi. E, come nella tragedia greca, l’aeroporto di Lamezia era benevolo come le Erinni eschilee a cui si porgevano le offerte e per le quali si sacrificavano le pecore nere.

Molte condotte illecite ascritte agli indagati riguardano, infatti, la gestione allegra del progetto Garanzia Giovani, finanziato con fondi pubblici. Il progetto, teoricamente finalizzato a inserire in Sacal i soggetti meritevoli, in realtà, almeno secondo gli inquirenti, grazie a pressioni indebite era diretto ad agevolare soltanto amici e parenti degli indagati, attraverso interventi artificiosi sulle procedure di selezione.

Non è tutto: tra gli aspetti salienti delle indagini ci sono le spese disinvolte del management. Viaggi, pranzi e soggiorni per scopi personali, effettuati presso strutture ricettive di lusso. Chi pagava? La società, ovviamente, con soldi pubblici.

In manette il presidente Sacal, Massimo Colosimo e il direttore generale, Pierluigi Mancuso. Entrambi nominati nel 2013, ai tempi di Scopelliti presidente regionale, sono ritenuti uomini vicini al centrodestra. In particolare Mancuso, già esponente di An, ed ex commissario Afor, l’azienda regionale per la forestazione, nel 2012 era stato condannato in appello dalla Corte dei conti a risarcire la regione per 300 mila euro di danno erariale. Mancuso, erano i primi anni del duemila, era stato direttore dei lavori di una serie di villaggi turistici.

Nella sentenza d’appello i magistrati contabili rimarcavano come avesse violato “gravemente i propri obblighi di servizio che gli imponevano di seguire le regole di sana ed economica gestione delle risorse pubbliche…“. Nonostante ciò, fu promosso a direttore generale di Sacal. Colosimo è entrato nel Cda della società aeroportuale indicato dal comune di Catanzaro.

Del resto, è prassi decennale che il presidente dello scalo venga designato dal capoluogo, in uno strano e oliato meccanismo di spartizione per cui a Lamezia spetta la sede dell’hub, a Catanzaro le redini del potere. E nella città dei tre colli a giugno si torna al voto per le Comunali.

Chissà che le Eumenidi dei magistrati lametini non sgretolino anche il granitico blocco di potere berlusconiano e gli equilibri politici, in apparenza, consolidati.