Alla fine la guerriglia elettorale tra Lega e M5S diventa guerra aperta. Alle stilettate si sostituiscono i colpi di cannone e una volta iniziato il vicendevole bombardamento fermarlo ed evitare l’escalation è impossibile. I 5 Stelle, con Luigi Di Maio buon secondo, giusto un attimo dopo il gemello grintoso Alessandro Di Battista, vogliono la testa di Armando Siri, sottosegretario leghista alle Infrastrutture.

La Lega risponde ad alzo zero prendendo di mira la sindaca di Roma, Virginia Raggi, per quegli audio nei quali insiste con l’ad di Ama Bagnacani – poi rimosso – perché modifichi il bilancio dell’azienda dei rifiuti. «Non chiedo le dimissioni della Raggi per polemica politica ma perché è inadeguata», assicura Matteo Salvini. Però, come se la prima mazzata non bastasse, il leghista blocca anche i fondi per il Salva-Roma nel decreto Crescita. «Non accettiamo ricatti», ribattono i pentastellati. Quella che sino a poche ore prima era essenzialmente campagna elettorale è diventato un corpo a corpo.

A INCENDIARE una maggioranza fatta ormai di legno secco, di quelli che prendono fuoco come niente, è tanto per cambiare un’inchiesta: quella della procura di Roma per una presunta tangente di 30mila euro per Siri. Forse pagata, forse promessa o forse solo ipotizzata, dalle intercettazioni note non lo si capisce bene. Siri non è un leghista qualsiasi. Ex socialista, con una condanna patteggiata per falso in bilancio alle spalle, è il papà della Flat Tax e nella nuova Lega ha rapidamente scalato i gradini due a due sino a diventare il più ascoltato da Salvini. Il capo leghista lo blinda, lui rifiuta di dimettersi: «Non ho fatto niente di male.

Non ho alcun motivo di dimettermi. Chiedo di essere ascoltato subito dai magistrati». Ma il ministro alle Infrastrutture Danilo Toninelli scalpita e gli toglie le deleghe, mandando su tutte le furie il capo leghista che mette da parte le dichiarazioni pubbliche e si rivolge direttamente al premier Conte. L’avvocato media, con quale esito ancora non si sa: «Chiederò chiarimenti a Siri. Poi decideremo».

IL PROBLEMA DEI 5S è la fretta. Se aspettassero l’eventuale rinvio a giudizio nessuno potrebbe negargli il diritto, in base al codice etico, di dare il benservito a Siri. Ma quell’eventuale rinvio potrebbe arrivare troppo tardi per la campagna elettorale e che dire, poi, della figura a fronte di Zingaretti, che ha decapitato la presidente dell’Umbria Marini seduta stante? Possibile che proprio loro debbano essere battuti al loro stesso gioco, quello del giustizialismo, e dal partito che si profila come diretto antagonista nelle urne di maggio? Dunque si scatenano in coro: «Siri può difendersi ma lontano dal governo». Conte però coglie al volo la distinzione, ricorda che «siamo di fronte ad avviso di garanzia, non c’è processo». Insomma prepara il terreno per una tregua basata probabilmente sul ritiro del «ritiro» delle deleghe sino al primo verdetto della magistratura, quello sul rinvio a giudizio.

Succede però che proprio mentre i 5S in coro chiedono la decapitazione del reprobo assicurando che se fosse capitato a loro avrebbero già provveduto a fare pulizia senza bisogno di interventi esterni, peccato che la Lega non vanti la stessa fibra morale, piomba anche su di loro l’ennesima tegola Raggi. La notizia di un esposto presentato dall’ex ad di Ama Bagnacani, corredato da registrazioni pubblicate dall’Espresso, che denuncia pressioni per spostare verso il rosso il bilancio, forse perché con due bilanci in rosso, quanti sono in sospeso, si spalancherebbero le porte per l’intervento Acea. Sino a quel momento i leghisti si erano limitati a ricordare di non aver chiesto le dimissioni della sindaca neppure quando era indagata e se l’erano presa con i soci per l’uso dei «due pesi e due misure».

MA LA MINISTRA per gli Affari regionali Stefani capisce per prima quanto sia ghiotta l’occasione e chiede subito le dimissioni di Raggi. Seguono a ruota i capigruppo Molinari e Romeo, poi è un diluvio al quale inevitabilmente si aggiunge anche il Pd.

I 5S, presi in contropiede, replicano che il caso è diverso da quello di Siri perché qui non c’è indagine aperta e non si parla di mafia. Ma i due fattacci procedono appaiati e- intrecciati. Come si concluderanno è incerto. Ma dalle ferite di ieri la maggioranza gialloverde si riprenderà difficilmente.