Gli autori di Etnografie militanti. Prospettive e dilemmi (Meltemi, pp. 256, euro 18) iniziano la loro analisi con una frase di Umberto Eco, il quale, nell’introduzione del 1980 de Il nome della rosa scrive: «è ora consolazione dell’uomo di lettere (restituito alla sua altissima dignità) che si possa scrivere per puro amore di scrivere. Sono finiti i tempi in cui per poter scrivere serviva la sua militanza».

Gli antropologi Stefano Boni, Alexander Koensler e Amalia Rossi, confrontando questo pensiero con le fotografie, di poco più di un decennio prima di Hans Magnus Enzensberger e Jean-Paul Sartre in viaggio di solidarietà a Leningrado, Michel Foucault con un megafono in mano durante le manifestazioni parigine del ’68, Said di ritorno dalla Palestina, si chiedono che cosa è rimasto oggi, o meglio, che forme ha preso oggi l’impegno nelle scienze sociali?

PER RISPONDERE a questa domanda i tre autori ripercorrono la loro esperienza politica e scientifica, nello specifico etnografica, per mostrare ai lettori come fare ricerca possa contribuire sia al sapere scientifico sia a rafforzare contesti politici. Il volume evidenzia un processo di ripoliticizzazione dell’etnografia che ha caratterizzato tutto l’ultimo decennio.

L’«etnografia militante» di cui parlano Boni, Koensler e Rossi non va confusa con quella applicata, con la ricerca-azione o l’antropologia pubblica, ma richiama, pur con alcune forme di discontinuità, il concetto gramsciano d’intellettuale organico: «È un peculiare posizionamento che emerge con prepotenza negli antropologi e nelle antropologhe che si formano all’inizio del terzo millennio». All’interno di questo sguardo disciplinare molti ricercatori, sottolineano i tre autori, hanno infatti trovato la possibilità di coniugare studio e impegno, dentro e fuori dall’Accademia.

Nel 2017 a Pisa venne organizzato un convegno da cui scaturì la pubblicazione del volume curato da Fabio Dei e Caterina di Pasquale dal titolo Stato, violenza, libertà. La critica del potere e l’antropologia contemporanea (Donzelli). L’antropologo Dei, nel testo, riprendendo alcune osservazioni della filosofa Carnevali, confermava già tre anni prima quanto buona parte delle scienze umane fosse sempre più influenzata da un insieme eterogeneo di teorie ispirate ad autori radicali quali Marx, Lacan, Foucault, Deleuze, Bourdieu, Said, Spivak, Butler, Zizek. Dei denunciava, in questo senso, il rischio di caotici bricolage intellettuali troppo incentrati sulla critica dello Stato e delle sue istituzioni che potrebbero riportare l’antropologia indietro, in tempi precedenti la svolta interpretativa-riflessiva.

NON A CASO, l’altra domanda a cui Boni, Koensler e Rossi vogliono rispondere nel loro volume è come è possibile realizzare buone etnografie coniugando l’impegno politico con la ricerca sul campo? Negli ultimi anni sono nate società antropologiche quali la Siaa – Società Italiana di antropologia Applicata – che, attraverso convegni e seminari, hanno chiamato a sé tanti ricercatori favorendo l’espandersi di specifici approcci militanti. Per rispondere a Dei gli autori di Etnografie militanti riprendono Clifford Geertz quando scrive: «Una delle più inquietanti conclusioni cui lo studio dei nuovi Stati e dei loro problemi mi ha portato è che tale studio si rivela più efficace nell’esposizione dei problemi che non nella scoperta delle loro soluzioni».

Il celebre antropologo statunitense osserva con sarcasmo come i suoi colleghi, in fondo, si comportino verso i soggetti della loro indagine come fa Lucy nei confronti dell’amico Charlie Brown in una striscia dei Peanuts. «Sai qual è il tuo problema Charlie Brown? Il tuo problema è che tu sei tu». «Bene, che cosa ci posso fare allora?», e Lucy replica: «Io non do consigli. Indico solo le radici del problema».

LE ETNOGRAFIE militanti, per Boni, Koensler e Rossi partono proprio dalla volontà di ribaltare questa tendenza decostruzionista; nello specifico, non dovranno più limitarsi a evidenziare le radici del problema, ma dovranno aiutare Charlie Brown ad affermare la propria visione del mondo. Ma, ancora una volta, ciò aiuterà l’antropologia ad essere ancora più rigorosa e autenticamente utile? Etnografie militanti va letto proprio in questa direzione, nella volontà di proseguire questo dibattito.