A fare da sfondo, lo scenario di una città del sud, ferita dalla pandemia e dove chi già subiva gli effetti di emarginazione e povertà si ritrova ancor più ai margini, ancora più solo, ancor più disperato. E nelle cui strade, accanto al Covid, sembra correre un altro virus, non altrettanto letale, ma non per questo meno pericoloso: il razzismo. I penultimi contro gli ultimi, verrebbe da dire, se non ci fossero degli agenti dell’intolleranza pronti a soffiare sul fuoco, con la speranza nemmeno tanto celata che prima o poi dal quel groviglio di risentimento e senso di abbandono si possa sviluppare un incendio in grado di travolgere tutto, libertà e democrazia ovviamente in primo luogo.

È in un simile contesto che l’omicidio di Matteo Cardone, leader dell’«associazione Hobbit», motore delle campagne xenofobe all’insegna del «prima gli italiani», ma che si presentano anche come sostegno alla popolazione più disagiata con la distribuzione di pacchi di alimenti, vestiti e una presenza quotidiana nel quartiere Libertà di Bari, rischia di innescare un’ulteriore escalation di violenza, costituire la scintilla così a lungo ricercata perché ogni traccia di convivenza salti in aria. Anche perché il principale sospettato per la morte del capo dei neofascisti è un nero, Samuel Saleh, un ragazzo etiope che la vittima aveva aggredito e insultato con epiteti razzisti solo pochi giorni prima.

AD INDAGARE sull’accaduto, il sostituto procuratore Emma Bonsanti, cui spetterà il compito di far emergere contraddizioni e zone d’ombra di una vicenda all’apparenza fin troppo lineare, ma che non tarderà a rivelarsi ben più complessa e intricata, tale da disvelare ad ogni passaggio alternativamente segreti e verità inconfessabili. Con una difficoltà in più per lei che ha vissuto a Milano da adolescente di sinistra gli anni della contestazione e degli scontri politici: il cercare di fare giustizia per la fine orribile di un individuo spregevole, violento e razzista, un estremista di destra tatuato da capo a piedi con gli emblemi dell’odio, uno che nell’esaltazione della morte e dei suoi simboli aveva costruito un’intera esistenza.

Con Caramelle dai conosciuti (Piemme, pp. 312, euro 19,50), terza indagine di Emma Bonsanti dopo La trappola dei ricordi e Motivi di famiglia (entrambi per Piemme), Aldo Pagano porta l’inchiesta poliziesca fin dentro il presente, evocando i primi mesi della pandemia, il crescere del razzismo, il protagonismo dell’estrema destra senza incedere nel moralismo o nelle rappresentazioni consolatorie della realtà, ma, senza fare alcuno sconto ad una rappresentazione cruda ma concreta dell’accaduto, rendendo piuttosto ogni riferimento a fatti e contesti reali volutamente esplicito e diretto.

ALLO STESSO MODO nel romanzo, scandito da un’inflessione «barese» addomesticata ma non per questo meno efficace, emergono i molti livelli di una realtà sociale contraddittoria dove, come in un sistema di scatole cinesi, ogni elemento sembra nasconderne un altro. Così, se la vetrina lustrata della città si mostra per i vicoli di Bari Vecchia, «il cuore del groviglio chiamato Libertà è l’ultracentenaria Manifattura dei tabacchi, immensa cattedrale operaia che ai bei tempi, con la sua ciminiera, spargeva odore di toscanelli e prosperità manco fosse il turibolo dell’incenso per la benedizione eucaristica in basilica».

Ed è nei sotterranei della Manifattura, sorta di tempio locale dell’archeologia industriale, che si consuma l’omicidio da cui muove l’intera vicenda. Mentre il quartiere circostante, a prima vista epicentro dell’inedito sviluppo «sociale» dei neofascisti, risponde in realtà alle leggi non scritte, ma difficilmente violabili senza conseguenze, di una potente e radicata famiglia malavitosa.

UNA SIGARETTA dietro l’altra, circondata dai suoi collaboratori a cominciare dal sovrintendente capo Michele Lorusso, personalmente coinvolto nella vicenda su cui indaga, Emma Bonsanti dovrà capire a quale bivio si situa la soluzione del caso. Se il successo economico della famiglia del morto abbia a che fare con i traffici poco chiari che crescono in città, se davvero l’omicidio è dovuto alla vendetta di una delle vittime delle ripetute campagne d’odio che lui stesso aveva aizzato, o se, infine, almeno qualche risposta non si possa nascondere tra le pieghe di una vita in cui l’adesione alle idee del fascismo poteva non essere stata la peggiore delle colpe.