«Rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza», è questo l’obiettivo del decreto legislativo proposto dalla ministra della giustizia Cartabia e passato ieri sera dal Consiglio dei ministri. Il testo andrà al parere delle camere prima della via libera definitivo del governo, si tratta infatti di un decreto che segue la legge di delegazione europea dello scorso aprile. Allora era stata – finalmente – recepita una direttiva dell’Unione europea vecchia di cinque anni (2016/343) con la quale si dava agli stati membri l’obiettivo di garantire i diritti degli indagati e degli imputati, che non devono essere presentati come colpevoli prima del tempo. L’articolo 2 del decreto approvato ieri stabilisce allora che «È fatto divieto alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a che la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili».

L’obiettivo è quello di evitare che gli inquirenti, procuratori della Repubblica o ufficiali di polizia giudiziaria, presentino le loro indagini come verità accertata. Ma la formula «autorità pubbliche» è tanto vasta da comprendere anche i politici in funzione di governo, ed è bene ricordarselo visto che abbiamo avuto anche un ministro dell’interno – Salvini – che invitava a buttare la chiave un minuto dopo il primo fermo di polizia. Già oggi la legge, in astratto, prevede che siano solo il procuratore capo o un magistrato da lui delegato a dare informazioni alla stampa, il nuovo decreto aggiunge che «la diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando sia strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico», formula quest’ultima che dovrebbe garantire il diritto all’informazione. In ogni caso il procuratore potrà rivolgersi ai media solo con comunicati stampa o «in casi di particolare rilevanza pubblica» con una conferenza stampa. E dovrà fare in modo di «chiarire la fase in cui il procedimento pende», evitando cioè di presentare gli indagati come già colpevoli.

Il decreto si occupa anche di porre un freno alla pratica di assegnare alle operazioni di polizia giudiziaria quei nomi che alludono chiaramente alla colpevolezza accertata, prevede novità anche per le ordinanze dei pubblici ministeri. Sono quegli atti che, essendo immediatamente disponibili alle parti, consentono la conoscibilità alla stampa e ai cittadini degli elementi essenziali dell’indagine. Atti che frequentemente contengono anche quelli elementi, come le intercettazioni telefoniche o ambientali, che più si prestano a un anticipo di giudizio presso l’opinione pubblica. Il decreto legislativo prevede che «l’autorità giudiziaria limita i riferimenti alla colpevolezza della persona sottoposta alle indagini alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste dalla legge per l’adozione del provvedimento». Formula assai faticosa, ma va anche peggio quando il decreto cerca di impedire che l’indagato sia presentato come colpevole fino a sentenza definitiva anche negli atti di indagine. Perché che deve necessariamente escludere dal divieto proprio gli atti del pm che quella colpevolezza, evidentemente, presuppongono.
Soddisfazione per il decreto legislativo è stata espressa dal Pd, «il diritto all’informazione è il presupposto di qualsiasi democrazia liberale, ma siamo contro la spettacolarizzazione delle indagini» ha detto la responsabile giustizia Anna Rossomando, e da Azione +Europa. Assai più guardingo il M5S.