Un prisma attraverso il quale osservare la complessa e a volte sfuggente realtà emersa lungo le linee di faglia del mondo globale, o che, in modo analogo e solo apparentemente contraddittorio, della globalizzazione costituisce per molti aspetti una delle declinazioni più compiute in termini di sbriciolamento dei «confini», di cambio di segno di ogni rappresentazione all’insegna di «dentro» e «fuori». È questa una delle possibili chiavi di lettura cui si presta Radicalizzazione di Francesco Antonelli, pubblicato nella collana Lessico democratico di Mondadori Univesità (pp. 128, euro 12).

Docente di Sociologia a Roma Tre e da anni attivo a livello internazionale negli studi su estremismo e terrorismo – nel volume ritornano, tra gli altri, gli esiti del recente progetto di ricerca europeo «Trivalent» cui ha preso parte -, Antonelli indaga i contorni e le rappresentazioni di un fenomeno che sembra aver occupato in modo sinistro la scena internazionale perlomeno negli ultimi vent’anni, vale a dire da dopo l’attacco alle Twin Towers dell’11 settembre del 2001. Perlomeno da quella tragica vicenda, si è infatti soliti evocare l’idea stessa della «radicalizzazione» nei termini di una progressiva adesione alle tesi jihadiste e soprattutto alla loro possibile messa in atto attraverso la violenza.

A FRONTE DI UN CONTESTO nel quale l’analisi di tali fenomeni ha visto spesso coincidere gli spunti della ricerca sociologica con le esigenze del controllo e della repressione, finendo per piegare gli esiti della prima alle volontà e gli scopi delle seconde, questo quando le agenzie della «sicurezza» non si sono fatte esse stesse promotrici di studi e ricerche, Radicalizzazione offre un quadro composito della messe di indagini prodotte fin qui. Il lavoro degli organismi internazionali come quello di alcuni apparati di intelligence, o delle forze dell’ordine, è letto in parallelo con le tendenze che hanno alimentato il dibattito sociologico sul tema, sviluppatosi negli ultimi decenni talvolta in termini di contrapposizione o continuità con le precedenti ricerche sulla violenza politica o il terrorismo.

Oltre che ai meccanismi del controllo, alcune delle analisi proposte in questi anni, come le tesi «culturaliste» che postulano l’arretratezza pressoché «barbarica» dell’Islam – su tutte, le posizioni assunte da Oriana Fallaci -, sono parse guardare alle retoriche politiche di una destra che denunciando tout court «il pericolo islamico» ha costruito le proprie fortune elettorali su un fondo di paura diffusa dopo il moltiplicarsi degli attentati anche in Europa, da Madrid a Parigi. Al contrario, studiosi come, tra gli altri, Olivier Roy o Farid Khosrokhavar – più volte interlocutori di queste pagine, nda – hanno indagato la «vulnerabilità» dei soggetti coinvolti nei processi di radicalizzazione, specie nelle grandi città europee, come le forme del tutto nuove attraverso le quali costoro costruiscono soggettivamente il proprio immaginario e l’adesione a «comunità immaginarie» che sembrano offrire conforto e valore alle loro esistenze marginali.

Il percorso seguito da Antonelli per dare conto delle diverse piste analitiche sviluppatesi intorno al quesito «cosa spinge un individuo a diventare terrorista?», riconduce più volte alla necessità di cogliere, e restituire, la complessità degli itinerari e delle istanze individuali e di come queste incontrino, o abbiano incontrato, l’azione e il proselitismo di gruppi con Al Qaeda, Daesh, Boko Haram o le diverse forme di predicazione dell’odio online.

Consapevole che, specie negli ultimi anni, forme non troppo dissimili di «radicalizzazione» hanno riguardato anche gli adepti del suprematismo bianco e del radicalismo di destra, dando origine al moltiplicarsi delle azioni terroristiche di altrettanti «lupi solitari», l’autore sottolinea come di fronte a tali fenomeni, vadano evitate le spiegazioni totalizzanti in favore di strumenti di analisi che colgano tutta la complessità, nei termini di intreccio e interazione tra processi diversi, della situazione.

E QUESTO non solo ai fini della ricerca, ma anche per produrre adeguati strumenti di contrasto alla radicalizzazione. Strategie di lotta, queste ultime, che ci dicono inoltre molto non solo della minaccia jihadista, ma anche del mondo in cui viviamo, fino ad apparire all’autore «come un capitolo particolarmente significativo del rapporto tra diversità religiosa e culturale, modernità e globalizzazione, che sta ridisegnando nel profondo le caratteristiche della politica e delle società contemporanee».