Per decenni il sistema politico tedesco è stato sinonimo (e garanzia per le élite europee) di «stabilità». Certo nell’alternanza di governo dei due principali partiti, l’Union dei cristiano-democratici con i cristiano-sociali bavaresi e la Socialdemocrazia. Certo con l’affacciarsi sulla scena di nuove forze politiche, come accaduto con l’affermazione dei Grünen negli anni Ottanta, a partire da movimenti come quello antinucleare. Certo con il faticoso processo di riunificazione dei Länder dell’Est, le regioni dell’ex Repubblica Democratica (Rdt).

In ognuno di questi passaggi è parso che il modello dell’«economia sociale di mercato» tramutasse la sua capacità di «integrazione» e neutralizzazione sistemica del conflitto di classe in fattore di permanente stabilizzazione della scena politico-istituzionale.

Questo paradigma ha consentito al governo Socialdemocratici-Verdi, guidato tra il 1998 e il 2005 da Gerhard Schröder, di approvare con l’«Agenda 2010» pesanti riforme al sistema di Welfare State, Il prezzo pagato dall’Spd fu la scissione a sinistra della Wasg di Oskar Lafontaine e la sua alleanza con la Pds (il Partito del Socialismo Democratico, radicato a Est), la cui fusione diede vita nel 2007 a Die Linke.
Il resto è storia recente, con l’ascesa della democristiana Angela Merkel, dal 2005 ininterrottamente cancelliera federale, alla guida di maggioranze variabili (prima con l’Spd, poi con i liberal-democratici dell’Fdp, poi di nuovo in Große Koalition). Essa stessa emblema della «stabilità». E dell’evidente ruolo egemonico giocato dalla Germania nell’Europa segnata dalla «grande crisi». La Cancelliera sembrava predestinata a guidarla ancora a lungo.

Ma da un anno a questa parte non è più così: la cosiddetta «crisi dei rifugiati» prima, l’inquietante comparsa dei populisti di destra dell’Afd (Alternative für Deutschland) poi, la candidatura infine alla guida dell’Spd di Martin Schulz e lo sconquasso dei sondaggi (ne parliamo qui a fianco). Insomma: la mitica «stabilità» tedesca ha ceduto il passo all’incertezza e all’imprevedibilità. E sotto questo segno si è avviata la campagna elettorale per il Bundestag (la camera bassa del parlamento federale), con il voto fissato per il prossimo 24 settembre.

La Germania resta, in questa congiuntura, così vicina e così lontana dal dibattito italiano. Con l’intervista ad Andrea Ypsilanti iniziamo una serie di colloqui che puntano a offrire qualche elemento di conoscenza in più. E qualche spunto di analisi ulteriore, per provare a comprendere quali potenzialità di cambiamento, per l’Europa tutta, possano annidarsi in una situazione sociale e politica tedesca, in così repentina e cruciale mutazione.