Le fiamme dell’annus horribilis 2019 hanno divorato il regno vegetale e quello animale in Amazzonia, Siberia, Repubblica democratica del Congo e da settembre non danno requie in Australia, dove ancora ieri si registravano oltre 100 incendi nel solo Nuovo Galles del Sud, lo Stato più colpito insieme a Victoria.

Migliaia di persone si sono rifugiate sulle spiagge del sud-est scappando dalle fiamme che attaccavano le case; aerei militari e navi della Marina sono mobilitati per i soccorsi e le evacuazioni.

Mentre fanno il giro del mondo le immagini di pompieri circondati da alberi in fiamme o intenti a portare via in braccio koala ustionati e a porgere biberon a quelli assetati, di canguri che fuggono, di case di legno ridotte in cenere, di parchi nazionali diventati scheletri neri, la conta dei danni non ha sosta. Finora quasi cinque milioni di ettari spazzati via (3,6 nel Nuovo Galles del Sud).

Diciotto le persone morte accertate (tra i vigili del fuoco e tra gli abitanti), ma sono molti i dispersi in aree irraggiungibili. Villaggi interi annientati (la Abc ne fa l’elenco, parlando di «incubo di Capodanno»), molti altri isolati, 50mila case senza elettricità. E lunedì perfino a Sidney e Melbourne sono state evacuate 100mila persone da cinque quartieri che sembravano minacciati.

Il primo ministro Scott Morrison – assai criticato per le sue vacanze alle Hawaii nella seconda metà di dicembre, in piena emergenza – si è rivolto ai sudditi di sua maestà con un rassicurante messaggio di Capodanno, specificando che «l’Australia, amazing country, rimane il miglior paese dove far crescere bambini», malgrado i «terribili incendi, la siccità che continua e le inondazioni».

Ma per il leader dei Greens (Verdi), Richard Di Natale, «Scott Morrison non ha onorato il suo dovere di proteggere i cittadini», visti l’«inadeguata risposta all’emergenza e il rifiuto di ammettere che continuare a bruciare combustibili fossili porterà a incendi sempre più frequenti e devastanti».

Sembrano ricadere su moltissimi innocenti le colpe climatiche del governo australiano che, all’ultima conferenza delle parti sul clima – la Cop 21 a Madrid –, ha mostrato di preferire gli interessi del settore fossile a quelli del pianeta, tra l’altro insistendo per poter conteggiare tra i propri impegni climatici (sulla base degli obiettivi fissati nell’accordo internazionale di Parigi del 2015) i crediti di carbonio maturati dal paese sulla base del Protocollo di Kyoto del 1997. Inoltre Morrison ha detto pochi giorni fa che non ci sono «indicazioni credibili» che la lunga emergenza incendi sia legata al caos climatico.

Ma non è una coincidenza il cocktail di eventi estremi perfetto per alimentare incendi praticamente indomabili anche in un paese ricco di mezzi: siccità prolungata e dunque zero umidità (bruciano anche i banani), temperature record (oltre i 40° C), venti forti o fortissimi, la presenza invasiva di specie come l’eucalipto che bruciano facilmente.

Il responsabile del servizio antincendi del Nuovo Galles del Sud, Shane Fitzsimmons, ha spiegato giorni fa: «Non ne verremo a capo finché non ci saranno piogge a sufficienza, lo diciamo da settimane, da mesi».

Tra le vittime dell’ecocidio ci sono milioni di animali selvatici, oltre a quelli domestici. Se un mammifero simbolo dell’apocalisse di fuoco amazzonica era stato il bradipo – erbivoro arboricolo troppo lento per riuscire a fuggire –, nel rogo australiano la specie maggiormente al centro dell’attenzione e della preoccupazione è il koala.

Come spiegava il Wwf in un documento del mese di novembre, molte popolazioni di marsupiali erano già colpite dalla prolungata siccità che ha ridotto il contenuto di acqua delle foglie di eucalipto aumentandone la tossicità.

Adesso gli esperti temono che siano morti circa 8mila koala, il 30% della loro popolazione nel Nuovo Galles del Sud. La stima si basa sul fatto che quella è la percentuale del loro habitat annientata e si tratta di animali lenti, non in grado di sfuggire al fuoco che salta letteralmente di eucalipto in eucalipto.

Impossibile stimare quante decine di milioni di animali tra domestici e selvatici siano atrocemente morti bruciati o soffocati dal fumo, o siano ustionati da qualche parte senza possibilità di soccorso. Il Times ha riferito che, secondo esperti dell’università di Sidney, gli incendi potrebbero aver ucciso direttamente o indirettamente 480 milioni tra mammiferi (oltre ai koala, canguri, wombat, opossum…), uccelli e rettili. Naturalmente sono ipotesi non verificabili visto che, secondo quanto ha riferito in Parlamento un esperto del Nature Conservation Council, sarà molto difficile trovare tracce.

La coalizione Stand Up for Nature, formata da 13 organizzazioni ambientaliste, chiede una moratoria immediata del taglio delle foreste native nello Stato più colpito, perché sarebbe da «sconsiderati» sacrificare altre porzioni di habitat.