Quattordici anni dopo Gli incredibili, la Pixar torna in campo con la sua nuclear family di supereroi. E prova che non ha nulla da imparare dalla Marvel. Una delle colonne della prima generazione di registi dello Studio, Brad Bird, è nuovamente dietro alla macchina da presa di questo sequel -più grande, più affollato, più movimentato e più #Me Too dell’originale. Visivamente bellissimo -lo stesso disegno angolare retrofuturibile, arricchito da un uso più vario e pittorico del colore (specialmente nei cieli) e da oltre un decennio di evoluzione del CGI.

Ritroviamo Bob e Helen (alias Mr. Incredibile ed Elastic Girl) e i loro bambini, Violet e Dash, a cui si è aggiunto il neonato Jack Jack, nei loro anni sessanta profumati di Jetsons e 007, ospiti di un anonimo motel, costretti a vivere in incognito, perché i supereroi sono stati messi fuori legge. Ma la loro copertura dura solo un istante: quando un cattivo a bordo di un gigantesco ordigno che sembra una talpone armato di trivella irrompe nella città, Mr. Incredible e Elastic Girl scattano in azione.

Peccato che il loro intervento -una sequenza d’azione metropolitana fittissima, giocata sopra e sotto terra – invece di fare del bene crei una distruzione e un panico ancora più grossi di quelli che il cattivo avrebbe mai potuto totalizzare da solo. Per cose del genere siamo assicurati, dice il sindaco a Bob e Helen, non abbiamo bisogno di voi! Dichiarazione ancor più umiliante dato che quella dell’assicuratore è proprio la grigia carriera che Bob si era lasciato alle spalle ai fini di usare i suoi superpoteri per il bene dell’umanità.

La spinta verso la scienza, la tecnologia, l’eccezionalità, l’ottimismo, l’iniziativa personale sono temi forti dei film di Brad Bird (che includono il sottovalutato live-action Tomorrowland, un Mission Impossible e le avventure del ratto/chef Ratatouille). I loro nemici peggiori la noia, la mediocrità, la mancanza di ambizioni. La stessa dicotomia (che ha giovato a Bird l’accusa di essere un superominista, addirittura «un seguace di Ayn Rand») attraversa Incredibles 2 , la cui trama sembra però anche concepita in risposta a chi sostiene che la Pixar sia sempre stata un boys club, poco aperto al talento femminile.

Bob, Helen e famiglia sono infatti soccorsi da un’esistenza homeless (sono finiti anche i soldi per il motel) da un miliardario illuminato (la Pixar è nata vicino alla libertaria Silicon Valley..) che crede nel valore dei supereroi e intende riabilitarli. La sua strategia di marketing ruota intorno alla presenza più soft, giudiziosa, meno distruttiva di Elastic Girl, che il miliardario intende sfruttare in una serie promozionale di gesta eroiche.
Mr. Incredible – le sue spallone e la mascella volitiva, fuori taglia come il suo ego; tutti e tre da caricatura – è così costretto a stare a casa (una mansion modernista che potrebbe ospitare Iron Man o Ernst Stavro Blofeld) a fare da casalingo e baby sitter.

Mentre Helen, dotata di una body-cam (come quelle che adesso hanno i poliziotti) combatte con i suoi poteri elastici un nuovo nemico numero uno che si chiama Screensaver e ha il potere di ipnotizzare chiunque via occhiali speciali o schermo del telefonino. La parentesi domestico/depressiva permette però a Bob di assistere alla sequenza più sublime del film, in cui si scopre che Jack Jack non è un bebè normale ma super. Si tratta -letteralmente- di un passo a due tra il neonato e un tasso. Un corpo a corpo tra il peloso, dentuto, animale e il sorridente, angelico, bambino in cui Jack Jack, gongolando, di fronte al padre allibito, sfodera contro l’aggressivo roditore un super potere migliore dell’altro.

Impeccabile come un balletto di Ginger Rogers e Fred Astaire, la scena apre nel flusso concitato del film uno spazio magico, che ci riporta alle radici del genio Pixar -il gusto per il dettaglio, la voglia di lasciare che una sequenza non si fermi alla prima gag ma continui -una trovata dopo l’altra (come l’insuperabile attraversamento della strada dei giocattoli di Toy Story 2) – in un ritmo e senso tutti suoi, che riallenano il nostro occhio al gusto puro del colori, del disegno, del gioco/ritmo di immagini.

Jack Jack è il talismano del film, una fonte continua di sorprese che seduce immediatamente anche la stilista Edna che gli disegna una tutina telecomandata.  Incredibles 2 beneficerebbe di altri momenti sospesi, di contemplazione, come quella scena. In quel senso, lo si percepisce come un film un po’ malinconicamente a cavallo tra la Pixar delle origini, ancora indipendente, che centellinava film come il primo  Incredibles ogni due/tre anni, e la sua recente versione più industrializzata che, negli ultimi sei mesi, ne ha sfornati due. Non ci sono dubbi invece a quale fase della storia Pixar appartenga il brutto corto -storia lacrimevole di un bambino cinese gay e di un dumpling- che precede il film.