La causa dello scandalo Volkswagen? «La crescente avidità nel mercato mondiale, dove la concorrenza è brutale». A dirlo non è papa Francesco o qualche incallito anticapitalista, ma il severo ministro tedesco delle finanze Wolfgang Schäuble, in un’intervista rilasciata ieri ai quotidiani del network Rnd. È la prima volta che il potente guardiano dell’austerità interviene sull’affaire delle emissioni «truccate», e lo fa senza troppi giri di parole. Per il veterano dirigente democristiano (Cdu), l’azienda di Wolfsburg è destinata a modificarsi profondamente: vi saranno cambiamenti strutturali in virtù dei quali «alla fine la Volkswagen non sarà più quella che era». Nonostante tutto, Schäuble si professa sicuro del fatto che lo scandalo-emissioni non avrà conseguenze sull’economia tedesca: «Da questa crisi ne usciremo rafforzati. Noi dalle crisi impariamo».

Un messaggio di rassicurazione, quello del ministro, che deve servire a placare timori crescenti nella società tedesca, rappresentati anche dalla copertina dell’ultimo numero del settimanale der Spiegel: l’immagine di un corteo funebre del celebre Maggiolino sotto l’eloquente titolo «Il suicidio». Preoccupate per il futuro sono le città di Wolfsburg, Braunschweig (entrambe in Bassa Sassonia) e Ingolstadt (Baviera), sedi di stabilimenti Volkswagen e Audi: le amministrazioni comunali hanno già deliberato tagli alle spese «come misura preventiva». Timori condivisi da numerosi economisti che hanno messo in luce i rischi che una crisi di credibilità del made in Germany può comportare per l’economia del Paese, trainata dalle esportazioni. Qualche primo scricchiolio è già avvertibile: nello stabilimento di Salzgitter (circa 7000 lavoratori) la produzione è stata rallentata, e nella controllata Volkswagen Financial Service (6200 addetti a Braunschweig) sono state bloccate nuove assunzioni.

Le notizie che invece tutti vorrebbero sentire sono quelle relative all’individuazione dei responsabili della manipolazione dei dati. Ieri lunga seduta del comitato di presidenza del consiglio di sorveglianza (Aufsichtsrat) con due punti all’ordine del giorno: la scelta del nuovo presidente – sul nome di Hans Dieter Pötsch, voluto dalla famiglia Porsche, c’è battaglia – e i primi riscontri dell’inchiesta interna. Secondo diversi media tedeschi, l’ex capo del settore ricerca e sviluppo di Volkswagen, Heinz-Jakob Neusser, sarebbe stato a conoscenza della manipolazione dei dati sulle emissioni fin dal 2011: lo avrebbe riferito un tecnico alla commissione d’inchiesta interna. Il piano per installare il software incriminato risalirebbe invece al 2005, quando Volkswagen programmò lo sbarco sul mercato americano con le vetture diesel.

A volere chiarezza sono in particolare i rappresentanti della Bassa Sassonia, il Land che detiene il 20% della proprietà del gruppo: il ministro regionale dell’industria, Olaf Lies, in un’intervista rilasciata ieri alla Bbc ha definito «azione criminale» l’avere autorizzato e deciso l’installazione del software «trucca-emissioni» sui motori diesel.

Procede anche la magistratura tedesca, con un nuovo fascicolo, aperto stavolta dalla procura di Ingolstadt (dopo quella di Braunschweig), competente per le indagini sulla controllata Audi. Dagli Stati Uniti si apprende che la contea di Harris County, in Texas, chiede 100 milioni di dollari di risarcimento per l’inquinamento provocato dai 6mila veicoli della casa tedesca circolanti in quel territorio. E ad appesantire il conto da pagare potrebbero giungere anche le richieste di restituzione dei bonus-auto concessi dai governi spagnolo e francese.

Uno scandalo nello scandalo è quello che rischia di dilagare in Francia (dove le auto «truccate» sono circa un milione). Ieri il settimanale Le Canard Enchaîné, ripreso dalla Frankfurter Allgemeine, riferiva di pressioni sugli organi di stampa francesi da parte della Volkswagen per evitare la pubblicazione delle notizie sullo scandalo, pena il ritiro delle assai redditizie inserzioni pubblicitarie. La casa tedesca smentisce.