Deve essere molto stanco, Matthew Weiner, di sentirsi definire «il creatore di Mad Men» se, con il suo primo romanzo, Heather, più di tutto (Einaudi, traduzione Silvia Pareschi, pp. 113, euro 17) ha scelto di allontanarsi quanto più possibile da quel canovaccio, tanto nei modi e nella struttura, quanto nella trama. Se gli affezionati spettatori di Mad Men hanno impiegato sette stagioni (ovverosia, otto anni) per raggiungere l’epilogo della serie, per leggere Heather basta un pomeriggio – non più di un paio d’ore. In effetti, più che un romanzo, quest’opera prima narrativa di Weiner è quello che gli anglosassoni definiscono una novella, ovvero un racconto la cui narrazione copre uno spazio e un periodo di tempo più lungo di quello della short story (nel caso specifico, l’azione attraversa una quindicina d’anni) e si snoda attraverso un numero maggiore di pagine rispetto al racconto, ma di molto inferiore a quello del romanzo.

WEINER GIOCA con questa struttura, per certi versi anomala, frammentandola in paragrafi brevissimi, più simili a note di sceneggiatura che non ad aperture narrative. È come trovarsi di fronte al primo trattamento di un film, i cui dialoghi, non ancora scritti, sono sostituiti da indicazioni di regia, suggerimenti a carattere psicologico per l’interpretazione dei personaggi, e qualche nota ambientale. Non c’è dubbio, è un trattamento accattivante, quasi la bozza per un film che avrebbe tutte le carte in regola per diventare un successo di pubblico, e, nelle mani di un regista abile a giocare con i generi destrutturandoli, magari anche di critica.

UN FILM, comunque, che nulla avrebbe a che vedere con i modi, i motivi e le strutture di Mad Men, e nemmeno con le sue ambientazioni e i suoi personaggi. In effetti, se nella serie televisiva, attorno al protagonista Don Draper ruotava un considerevole numero di comprimari e di figure minori, Heather, più di tutto presenta solo quattro personaggi principali: due uomini e due donne, o meglio, una coppia borghese benestante, Karen e Mark Breakstone, la loro figlia, Heather, e Bobby, un sottoproletario disadattato con problemi caratteriali, figlio di una tossicomane, destinato, in una sorta di prevedibile darwinismo sociale, a una vita violenta. E se Bobby permette a Weiner di affrontare una realtà che Mad Men non ha mai neppure sfiorato, Mark Breakstone, che pure appartiene alla buona borghesia, sembra essere addirittura l’opposto del fascinoso Don: è un uomo insignificante, che non riesce a emergere sul lavoro e che ha un così scarso successo con le donne da essere il primo a stupirsi di aver conquistato la propria moglie che, dal canto suo, è arrivata nubile alle soglie della quarantina, senza mai accorgersi della propria avvenenza.

LA VICENDA SEGUE Karen e Mark dal loro primo appuntamento al buio, all’inattesa e improvvisa passione che scoppia tra di loro, fino al matrimonio e alla nascita della figlia Heather che, con la sua straordinaria bellezza e non comune empatia per ogni creatura (che si manifesta fin dalla più tenera età) diviene il centro e l’unico scopo della vita della madre e, più tardi, la sorgente di ogni ansia per il padre. Parallelamente, Weiner introduce il lettore nell’universo degradato di Bobby, dalla sua nascita indesiderata alla sua infanzia di bambino abusato e trascurato, fino al manifestarsi dell’inaudita violenza che per lui diviene l’unico modo di imporsi.

Così, mentre la storia di Bobby appare il contraltare di quella di Heather, e il suo mondo sporco e miserrimo l’esatto contrario dell’ambiente scintillante in cui vive la famiglia Breakstone, chi legge percepisce sempre più acutamente un senso di minaccia, nella consapevolezza che, prima o poi, le strade di Bobby e Heather dovranno incrociarsi, con esiti necessariamente catastrofici.

L’abilità di Weiner sta tutta nel creare l’aspettativa di un finale violento che, tuttavia, si manifesterà in maniera pressoché opposta alle premesse e agli indizi seminati lungo la narrazione. L’epilogo a sorpresa, cinico e amorale, è senza dubbio il momento più felice del romanzo: insieme all’amaro in bocca, ci lascia, nostro malgrado, a domandarci, con una certa inquietudine, se anche noi reagiremmo allo stesso modo in circostanze analoghe.