Se la Consulta oggi – riunita in camera di consiglio da questo pomeriggio dopo l’udienza pubblica – dovesse dichiarare incostituzionale la Fini-Giovanardi, chi ripagherà le migliaia di vite rovinate o addirittura spezzate dal furore ideologico di una legge che ha preteso di equiparare la marijuana all’eroina, il consumo allo spaccio, la cessione al narcotraffico? Solo per fare un esempio: il ragazzo di 21 anni che ieri è stato arrestato nei pressi di una discoteca a Calcinelli di Saltara perché in possesso di 40 grammi di marijuana (valore di mercato 320 euro) «pronti per essere spacciati», secondo i carabinieri, rischia con la vigente legge da uno a 6 anni di reclusione se il fatto venisse ritenuto in giudizio di «lieve entità» – come evidentemente è – altrimenti da 6 a 20 anni. Le carceri sono sovraffollate anche per questo. E chi pagherà l’ulteriore carico di lavoro dei tribunali costretti a ricalcolare le condanne dei ricorrenti, sulla base del pre-esistente testo di legge Jervolino-Vassalli che eventualmente tornerà in vigore?

La Corte costituzionale – relatrice la giudice Marta Cartabia – innanzitutto dovrà pronunciarsi sulla questione sollevata nel giugno scorso dalla terza sezione penale della Cassazione (ma analoghi ricorsi sono stati presentati dalla Corte d’Appello di Roma e dal Gip di Torino) riguardo l’eliminazione della distinzione tra droghe pensanti e droghe leggere confluite tutte, con la Fini-Giovanardi, in un’unica tabella, e con il conseguente «rilevantissimo aumento delle pene edittali» per i reati che il Testo unico 309 del 1990 (corretto dal referendum dei Radicali che nel 1993 aveva depenalizzato il consumo) considerava minori. Un aumento di pene che, secondo l’ordinanza 25554 di Piazza Cavour, «non sarebbe conforme né al principio di proporzionalità rispetto al disvalore espresso dalla condotta incriminatrice, né all’esempio di proporzionalità predisposto a livello comunitario». Non solo. I giudici delle leggi dovranno decidere se governo e parlamento, allora, in quel febbraio 2006 – il III governo Berlusconi moriva nemmeno due mesi dopo – non abbiano violato il dettato costituzionale quando invocarono i requisiti di necessità e urgenza di una norma inserita peraltro in un contesto completamente estraneo alla materia. E paradossalmente a difendere la legge davanti agli ermellini sarà il presidente del consiglio Enrico Letta (che ha tenuto per sé la delega alle droghe), costituitosi in giudizio e rappresentato dall’avvocato di Stato Massimo Giannuzzi.

Nata per riparare l’errore grossolano commesso con la cosiddetta ex Cirielli – che si accaniva contro i recidivi tossicodipendenti riducendo loro l’accesso alle pene alternative per controbilanciare, agli occhi dell’opinione pubblica, i privilegi accordati ad imputati eccellenti in quella che è stata una delle più famose norme ad personam – la Fini-Giovanardi si presentò inizialmente sotto forma di un articolo (art.4) inserito in corsa nel decreto legge 232/2005 sulle imminenti Olimpiadi invernali, per garantire sicurezza e finanziamento all’evento che si sarebbe svolto di lì a poco a Torino. Poi, in sede di conversione, diventa un maxiemendamento di 23 nuovi articoli blindato con la fiducia (art.4 bis, poi legge 49 del 21 febbraio 2006). Va infine ricordato che, a riprova dell’urgenza, la nuova legge sulle droghe divenne operativa solo pochi giorni prima delle elezioni con l’arrivo delle nuove tabelle messe a punto dal ministero della Salute. A ripercorrere passo per passo tutto l’iter legislativo di quell’«emendamento Giovanardi» – che ha praticamente raddoppiato il numero di detenuti presenti in carcere per la sola violazione dell’articolo 73 (detenzione) facendoli passare da circa 14.500 a oltre 25 mila, secondo i dati raccolti nel IV Libro bianco di Forum droghe – sono Antigone, Cnca, Forum Droghe e Società della ragione. Organizzazioni che nei giorni scorsi hanno promosso l’appello «Certamente incostituzionale» inviato alla Consulta e firmato da 140 giuristi, operatori di settore, docenti universitari e garanti per i diritti dei detenuti. Per l’avvocato Luigi Saraceni, che ha chiesto di costituirsi nell’udienza davanti alla Corte come difensore in un procedimento analogo, l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi «aveva le mani legate: non ha potuto rinviare il testo alla camere prendendosi la responsabilità di far saltare le Olimpiadi. Lo stravolgimento delle procedure parlamentari che ha consentito l’approvazione di una legge irragionevole e ingiusta è, dunque, di innegabile evidenza».