Sulla campagna vaccinale italiana pesa l’incognita delle varianti del coronavirus. Gli anticorpi acquisisti attraverso le vaccinazioni potrebbero rivelarsi meno efficaci contro le varianti. Per valutare l’entità del problema, è necessario conoscere quali varianti circolano nella popolazione. Ma solo pochi paesi, tra cui non figura l’Italia, sono attrezzati per farlo.

Che un virus sviluppi varianti nel corso di un’epidemia è del tutto naturale e noto a qualunque virologo. Al limite, gli scienziati possono interrogarsi sul ritmo con cui queste varianti appaiono. Il codice genetico del Sars-CoV-2, sappiamo ora, sviluppa mediamente due mutazioni al mese. Gran parte di esse è irrilevante.

Ma alcune possono modificare la proteina esterna del virus, la cosiddetta “Spike” con cui il virus aggancia le cellule dell’organismo contagiato. Queste proteine sono anche il punto di attacco degli anticorpi del sistema immunitario. Perciò, gli anticorpi sviluppati contro la variante originale del virus o grazie alla vaccinazione, possono non essere efficaci nei confronti di una variante che possieda proteine Spike mutate.

Tra quelle che più preoccupano gli esperti ce ne sono tre in particolare: la variante inglese, quella sudafricana e quella brasiliana. Laddove sono state identificate, sono diventate dominanti rispetto alle altre varianti in circolazione. Potrebbero dunque essere più contagiose, anche se non è l’unica spiegazione possibile. Nessuna variante sembra provocare sintomi più gravi rispetto al virus originale. Ciononostante, la maggiore diffusione può moltiplicare di molte volte il numero delle persone contagiate e, in proporzione, quello delle vittime.

In un mondo interconnesso è impossibile impedire che una variante più contagiosa si diffonda al di là delle frontiere. L’analisi genomica sui casi recenti sembra dimostrare che le varianti abbiano alimentato alcuni focolai epidemici recenti scoppiati in Lombardia, Umbria, Marche, Abruzzo. Se le varianti diventeranno dominanti anche in Italia, è urgente sapere se i vaccini a disposizione saranno ancora efficaci. Per quelli più potenti, prodotti dalla Pfizer e dalla Moderna, i primi test suggeriscono che gli anticorpi generati da queste vaccinazioni siano piuttosto efficaci contro le varianti. Più incerto l’impatto sul terzo vaccino a nostra disposizione, quello prodotto da AstraZeneca, che negli studi clinici più completi finora pubblicati ha dimostrato di prevenire solo il 60% delle infezioni sintomatiche. Gli ultimi dati pubblicati sono contrastanti. Il vaccino sembra mantenere l’efficacia contro la variante inglese, ma appare impotente o quasi nel prevenire i sintomi lievi dell’infezione con la variante sudafricana. La notizia ha portato alla sospensione delle vaccinazioni appena iniziate in Sudafrica, in attesa di dati più probanti. Gli studi disponibili, infatti, riguardano una fetta di popolazione troppo esigua per trarne conclusioni definitive.

In ogni caso è una tegola per il piano vaccinale, perché a giorni inizierà la distribuzione proprio del vaccino AstraZeneca nella popolazione non a rischio e nessuno sa cosa attendersi. In Italia la mappatura delle varianti è lasciata alla buona volontà dei singoli ricercatori. Ma per avere dati statistici affidabili sulla loro diffusione, occorre una rete di laboratori distribuita sul territorio in grado di censirle regolarmente. Solo Regno unito e Danimarca, che da sole hanno fornito oltre la metà dei genomi noti alla comunità scientifica, possiedono questa capacità in Europa.

Il 27 gennaio scorso il ministero della salute italiano ha deciso di imitarle e ha annunciato la nascita del «Consorzio italiano per la genotipizzazione e la fenotipizzazione di Sars-CoV-2», il cui coordinamento sarà affidato all’Iss. Predisporre questa rete e iniziare a raccogliere dati però richiederà tempo. Nell’attesa, con una circolare dell’8 febbraio Iss e ministero hanno deciso di avviare una prima indagine rapida: nelle giornate del 4 e 5 febbraio, le regioni dovranno sequenziare geneticamente i campioni “sospetti” e verificare l’incidenza delle varianti. Secondo i tecnici, sarà necessario sequenziare oltre tremila virus in pochi giorni. I risultati dell’indagine, infatti, dovranno arrivare all’Iss entro l’11 febbraio.