Israele dovrebbe essere più riconoscente nei confronti di Jimmy Carter, al quale, a quanto pare, non ha perdonato l’aver espresso qualche anno fa sostegno ai diritti dei palestinesi. Il presidente americano fautore del primo accordo di pace tra lo Stato ebraico e un paese arabo, l’Egitto, è intervenuto più volte a sostegno e copertura delle politiche degli alleati israeliani. Come nel 1979 quando Carter stese un velo di silenzio su un esperimento nucleare segreto che chiamava in causa Israele e di cui nei giorni scorsi è stato ricordato il 40/mo anniversario. Ancora oggi quel test non è mai avvenuto ma la verità è nota da sempre agli americani.

L’anniversario dell’incidente Vela, dal nome del satellite che registrò l’esplosione sospetta, cade mentre crescono le pressioni economiche e diplomatiche degli Usa su Tehran, di pari passo alle accuse che Israele lancia agli iraniani di voler costruire armi nucleari. Che questa sia l’intenzione della Repubblica islamica è da provare – gli iraniani negano di voler assemblare ordigni atomici – ma la Casa Bianca e Israele non escludono un attacco militare. In ogni caso Israele, che non ha mai firmato il Trattato di non proliferazione, voluto proprio dagli Usa, resta l’unico paese del Medio oriente a possedere segretamente bombe atomiche.

Il Vela era uno dei satelliti lanciati da Washington sulla scia del Trattato di divieto parziale dei test del 1963 (PTBT) che vieta gli esperimenti nucleari nell’atmosfera, sott’acqua e nello spazio. Alle 00:53 del 22 settembre di 40 anni fa il Vela localizzò un’esplosione vicino alle Isole del Principe Edoardo, a circa 1.000 miglia dalla costa meridionale del Sudafrica. Si trattava di un “doppio lampo”, uguale ai test nucleari rilevati in 41 precedenti occasioni dai satelliti Vela. I sospetti caddero sul Sudafrica e successivamente su Israele che aveva legami segreti con il regime dell’apartheid. Per Carter, sottolinea Foreign Policy, che a questo anniversario ha dedicato uno speciale, si presentò subito un problema politico e diplomatico di eccezionale importanza: i due paesi coinvolti erano nell’orbita americana. Inoltre una legge approvata due anni prima sul controllo delle esportazioni di armi, imponeva la fine dell’assistenza militare e l’applicazione automatica di sanzioni statunitensi se fosse stato accertato che uno Stato (diverso da quelli autorizzati dal Trattato di non proliferazione nucleare) aveva fatto detonare un ordigno nucleare dopo il 1977.

L’amministrazione Carter perciò si mosse per mettere in dubbio la validità dei dati satellitari. Disse che il Vela, in orbita da dieci anni, era vecchio. Ma il satellite sino a quel momento aveva funzionato alla perfezione. Quindi il “doppio lampo” fu attribuito alla collisione tra il Vela e un minuscolo meteorite. Infine l’anno successivo un comitato scientifico, in linea con la posizione della Casa Bianca, accertò senza ombra di dubbio che non c’era stata una esplosione nucleare. I risultati delle indagini erano profondamente diversi da ciò che si sapeva e che lo stesso Carter scrisse nel suo diario, nel febbraio 1980. «Cresce la convinzione tra i nostri scienziati – annotò il presidente – che gli israeliani hanno effettivamente condotto un test nucleare nell’oceano vicino all’estremità meridionale dell’Africa». Eppure non agì di conseguenza e fece secretare i documenti relativi all’inchiesta.

Il caso fu chiuso e gli Stati uniti ancora oggi fingono di non sapere che Israele possiede armi atomiche. Il programma atomico israeliano, partito negli anni ’50, è stato rivelato nel 1986 al Sunday Times da un tecnico della centrale di Dimona (Neghev), Mordechai Vanunu, che ha pagato il suo gesto con 18 anni di carcere ed isolamento, dopo essere stato rapito dal Mossad a Roma. In un articolo del New Yorker del giugno 2018 si afferma che Israele avrebbe lettere di Bill Clinton, George W. Bush, Barack Obama e Donald Trump, in cui i quattro presidenti si impegnano a proteggere le sue armi nucleari. Le Amministrazioni Usa non solo non hanno imposto a Israele la firma del trattato di non proliferazione ma hanno anche accettato la linea della «ambiguità nucleare», ossia lo Stato ebraico che non conferma e non nega di possedere armi atomiche.

La cooperazione militare tra Israele e il Sudafrica dell’apartheid è andata avanti per decenni anche se il primo ministro israeliano Menachem Begin nel 1977 negò l’esistenza di qualsiasi collaborazione per lo sviluppo di armi. Il giornalista e ricercatore Sasha Polakow-Suransky la descrive dettagliatamente nel suo libro del 2010, “The Unspoken Alliance: Israel’s Secret Relationship with Apartheid South Africa”. Polakow-Suransky, dopo aver consultato oltre 7000 pagine di documenti ufficiali sudafricani declassificati, presenta nel libro prove sull’offerta di testate nucleari fatta dal leader israeliano Shimon Peres al ministro della difesa sudafricano Botha nel 1975. Testate che il Sudafrica non comprò poiché intenzionato a costruirle da solo, però con la collaborazione di Israele. La cooperazione bellica tra i due paesi, anche in campo missilistico, è andata avanti per decenni, «quasi fino alla vigilia della presidenza di Mandela», secondo Polakow-Suransky. Israele, aggiunge, denunciava l’apartheid in pubblico e in segreto vendeva armi ai razzisti sudafricani.