Tocca i piani alti del governo giallo-verde e apre un nuovo fronte di scontro tra Lega e M5S l’inchiesta su un maxi-giro di tangenti che coinvolge politici, funzionari pubblici e imprenditori in Sicilia. Il business sul quale stanno indagando i pm della procura di Palermo è quello delle energie alternative, in particolare l’eolico; un filone d’inchiesta è stato trasferito alla procura di Roma, che ha iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di corruzione Armando Siri, sottosegretario ai Trasporti della Lega, tra gli uomini più vicini al vice premier Salvini.

PER GLI INQUIRENTI SIRI avrebbe intascato una mazzetta di 30 mila euro spingendo per un emendamento al Def, poi non approvato, con lo scopo di favorire gli imprenditori coinvolti nell’inchiesta. A consegnare il denaro al sottosegretario sarebbe stato Paolo Arata, ex parlamentare di Forza Italia, estensore del programma sull’energia della Lega e in affari, secondo i pm, con Vito Nicastri, il «signore del vento», come lo definì il Financial Times, già coinvolto in altre inchieste in passato che gli sono costate la confisca di beni per svariati milioni di euro e ora tornato in carcere. Siri avrebbe ricevuto il denaro a casa di Arata, suo grande sponsor politico. Per i magistrati l’ex parlamentare di Fi, indagato insieme al figlio e ad altre cinque persone per corruzione e intestazione fittizia di beni, sarebbe un socio occulto di Nicastri, ritenuto da tempo tra i finanziatori della latitanza del boss Matteo Messina Denaro.

Per gli investigatori, Arata avrebbe approfittato di una fitta rete di relazioni con ambienti politici trovando «interlocutori all’interno dell’assessorato all’Energia, tra tutti l’assessore Alberto Pierobon, grazie all’intervento di Gianfranco Miccichè, a sua volta contattato da Alberto Dell’Utri, fratello di Marcello». Arata sarebbe riuscito «ad interloquire direttamente con l’assessore regionale al Territorio, Toto Cordaro, e tramite questi con gli uffici amministrativi dell’assessorato, dopo avere chiesto un’intercessione a Calogero Mannino». Miccichè e gli assessori Pierobon e Cordaro – nessuno di loro è indagato – saranno sentiti dalla Dia come persone informate sui fatti. E’ stato già ascoltato, sempre come testimone, il dirigente regionale del Dipartimento rifiuti della Regione, Salvatore Cocina. L’interrogatorio è avvenuto dopo una lunga giornata di perquisizioni negli uffici dei dipartimenti energia e rifiuti della Regione, in un edificio che si trova a Palermo.

TERMINALI OPERATIVI negli uffici pubblici, per i pm, sarebbero stati due funzionari della Regione e un dipendente del comune di Calatafimi-Segesta: si tratta di Alberto Tinnirello, prima al dipartimento energia e ora al genio civile di Palermo, Giacomo Causarano, funzionario dell’assessorato all’energia, e Angelo Mistretta, funzionario a Calatafimi.

Tinnirello avrebbe incassato una tangente, non quantificata dai pm, per dare informazioni sullo stato delle pratiche amministrative inerenti la richiesta di autorizzazione integrata ambientale per la costruzione e l’esercizio degli impianti di bio-metano di Franconfonte e Calatafimi-Segesta della Solgesta srl di proprietà di Arata e Nicastri. Causarano avrebbe ricevuto 11mila euro, mazzetta mascherata come pagamento di una prestazione professionale resa dal figlio, pure lui indagato; in cambio avrebbe passato informazioni sullo stato delle pratiche amministrative per le istanze. Mistretta, invece, avrebbe avuto 115 mila euro per rilasciare una autorizzazione alla costruzione di impianti di produzione di energia alle società di Arata e Nicastri.

Tornato in cella ieri per aver violato gli arresti domiciliari a cui era stato messo con l’accusa di aver pagato la latitanza di Messina Denaro, Nicastri non è certo solo un imprenditore lungimirante. Gli investigatori, che ne sottolineano l’intuito e le capacità «visionarie», lo descrivono come un profondo conoscitore della macchina burocratica regionale, uno che sapeva quali ruote ungere per avere concessioni e autorizzazioni. Un corruttore, dunque, come conferma l’inchiesta della Dda di Palermo, che l’aveva già accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.

ARRESTATO NEGLI ANNI ’90, tornato in cella nel 2018 in una vicenda relativa all’acquisito di terreni degli esattori di Salemi – i cugini Nino e Ignazio Salvo – già condannato a 4 anni per evasione fiscale, a Nicastri, sei anni fa, fu sequestrato dalla Dia un patrimonio di circa un miliardo di euro. Il «signore del vento» ha sempre mantenuto costanti contatti con la politica locale in uno «scenario sconfortante», scrissero i giudici nel decreto di sequestro, fatto di «impressionanti condotte corruttive».