Le acque intorno alle navi delle ong impegnate nel Mediterraneo centrale continuano a essere agitate su più fronti. L’ex senatore Luigi Manconi ha annunciato ieri in una conferenza stampa il dissequestro della nave Aquarius. Il 20 novembre scorso l’imbarcazione di Medici senza frontiere e Sos Mediterranée era finita al centro di un’inchiesta del pm di Catania Carmelo Zuccaro per un presunto smaltimento illegale di rifiuti. «Non è mai stata sequestrata in quanto non era in Italia e il decreto del gip non è stato eseguito, né impugnato», hanno precisato dalla Procura della città siciliana. Di fatto, però, il tribunale del Riesame ieri ha annullato il blocco di 200mila euro in due conti correnti intestati al titolare della Mediterranean shipping agency indagato nell’inchiesta sui rifiuti. «Per l’ennesima volta le azioni giudiziarie contro le ong che operano in mare finiscono in un nulla di fatto. Soprattutto quelle che continuano a partire da Catania – ha affermato Manconi – Attenzione però: le accuse cadono, ma l’onore di un’organizzazione come Msf rimane gravemente insidiato». L’Aquarius è ferma nel porto di Marsiglia da settembre dell’anno scorso, quando in seguito a un salvataggio di 50 persone Panama ritirò la bandiera. Per questo motivo nuove missioni rischiano di tardare ancora, nonostante il provvedimento di ieri.

TRECENTOQUARANTA chilometri a sud-ovest, la Open Arms sta scontando difficoltà analoghe. La nave della ong spagnola si è vista revocare l’autorizzazione a lasciare il porto di Barcellona dal governo di centro-sinistra di Pedro Sánchez. «Siamo sorpresi di questo provvedimento – spiega Riccardo Gatti, capomissione della ong spagnola – L’allungamento dei tempi di salvataggio dipende dal divieto a entrare nei porti maltesi e italiani, ma il governo spagnolo ne attribuisce la responsabilità a noi. Questa decisione è un’altra tappa del meccanismo che vuole far sparire le ong dal Mediterraneo centrale». Eliminare occhi indiscreti serve a non turbare la narrazione di un mare tranquillo, in cui le persone non muoiono più e i viaggi della speranza sono finiti. Dietro la propaganda, però, ci sono i fatti: continuano i naufragi e continuano anche gli sbarchi, come ricorda Manconi. Lontano dagli obiettivi delle telecamere, ogni giorno 40-50 persone raggiungono l’Italia. Con imbarcazioni a vela, più difficilmente identificabili, e lungo rotte alternative, che puntano sulle coste pugliesi, calabresi e sarde.

PRESENTI ALLA CONFERENZA stampa anche Sea Watch, Mediterranea, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) e la Chiesa valdese che hanno tirato le somme della vicenda delle 49 persone bloccate per 19 giorni in mezzo al mare. «Quando sono salita su quella nave – ha detto Christiane Groeben vicepresidente Fcei – sono rimasta stupita soprattutto dal fatto che erano presenti tanti cittadini libici, segnati da evidenti segni di violenza e in fuga da quel paese che qualcuno vorrebbe definire ‘sicuro’». Uno di loro, durante la visita realizzata il 4 gennaio da una delegazione di parlamentari, avvocati e giornalisti, si è gettato in mare. «Ha visto le coste maltesi e voleva raggiungerle a nuoto – ha raccontato Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch – Aveva il terrore di essere riportato in Libia».

L’AVVOCATA Lucia Gennari, di Mediterranea Saving Humans, ha invece posto l’accento sugli effetti che la vicenda ha prodotto a livello complessivo: «Alcuni pilastri dell’ordinamento giuridico europeo, come il diritto a sbarcare in un luogo sicuro e in tempi rapidi, il diritto a chiedere asilo e lo stesso regolamento di Dublino, sono stati messi in crisi da iniziative governative di natura informale. Se la possibilità dei governi di agire fuori dalle leggi e dalle procedure prestabilite venisse messa a sistema si configurerebbero gravi rischi per i diritti di tutti quanti». Un avvertimento che dovrebbe far riflettere chi è ancora convinto che negando i diritti alle persone che migrano si proteggono quelli dei cittadini italiani.