Il deserto e il formicaio. È attraverso queste due metafore che, nel corso della storia umana, sono stati rappresentati i due scenari estremi e apocalittici legati al problema del controllo demografico: da un lato il rischio di uno spopolamento progressivo fino all’estinzione, dall’altro il pericolo opposto di un sovrappopolamento insostenibile. Economisti, politici, sociologi e perfino romanzieri hanno affrontato la questione demografica, esprimendo opinioni spesso contrastanti, oscillanti tra una fiducia incondizionata nel progresso e, dall’altra parte, il terrore nei confronti di una crescita demografica smisurata, portatrice di guerre, carestie ed epidemie.

Il fattore demografico è, in maniera innegabile, uno dei più potenti impulsi delle vicende che riguardano la storia dell’umanità, e attorno ad esso ruota tutto un agglomerato di teorie, considerazioni e immaginazioni che sconfina dal semplice territorio della scienza demografica, coinvolgendo gli ambiti più disparati della vita umana. Già nell’imperativo divino «moltiplicatevi e riempite la terra» si configura una promessa di prosperità che contiene il suo rovesciamento funesto: la punizione della razza umana attraverso una catastrofe che la condanna a uno sterminio quasi integrale. Consapevoli della propria vulnerabilità di fronte ai disastri provocati dal loro stesso comportamento, le popolazioni umane sono riuscite nei tempi moderni a fare a meno dell’intervento divino, trovando forme sempre più sofisticate di autodistruzione: contaminazioni nucleari, denatalità volontaria, esaurimento delle risorse naturali.L’allarme demografico, pertanto, si autoalimenta e si ripropone storicamente, in tutta la sua enigmaticità, come un ordigno che difficilmente riesce ad essere disinnescato.

Quelle di «troppi» e «troppo pochi» sono categorie dicotomiche ma allo stesso tempo sfuggenti, in quanto sottintendono in maniera implicita una precedente contrapposizione fra altre due categorie fondamentali dell’identità sociale: la distinzione tra il «noi» e il «loro». E così, se la percezione di un «noi» come «tanti» viene spesso interpretata come un segno positivo di prosperità e di potenza, quella di un «noi» come «troppi» può generare una spinta verso imprese di colonizzazione e di espansione a spese di coloro che sono destinati a diventare sempre più «pochi», a causa della «loro» arretratezza culturale e inferiorità biologica. Dall’altra parte vi è il fenomeno opposto, ovvero la sensazione di minaccia percepita da «noi» che siamo «pochi» e pertanto in inferiorità numerica rispetto a «loro» che iniziano a diventare «troppi»: è in tal modo che matura la percezione sistemica di un surplus demografico e sociale che viene definito genericamente con il termine «extra»: le folle di migranti, i profughi clandestini, il terzo mondo, le classi sociali più numerose perché più povere.

Queste ambigue complessità che ruotano attorno agli allarmi demografici vengono raccontate magistralmente nel bel saggio di Scipione Guarracino, recentemente pubblicato per i tipi de Il Saggiatore e intitolato Allarme demografico. Sovrappopolazione e spopolamento dal XVII al XXI secolo (pp. 222., euro18). Assai godibile nella lettura, il libro ha l’invidiabile merito di collocare la storia della demografia moderna all’interno di un quadro teorico nel quale le questioni relative ai movimenti della popolazione si intrecciano con processi di carattere sociale, economico e culturale, con i fenomeni di industrializzazione e di urbanizzazione da un lato e di pauperizzazione e proletarizzazione dall’altro, ma anche con il progresso tecnologico, l’evoluzione dei costumi, il ruolo svolto dalle religioni e dalle correnti artistiche e culturali.
Il quadro che emerge è quello di un malthusianesimo che continua a esercitare la sua influenza, riproponendo ciclicamente le proprie preoccupazioni, alimentando un immaginario collettivo in cui la scarsa considerazione verso i limiti dello sviluppo e la pressione demografica incontrollata provocano nuove carestie e catastrofi ecologiche.

Se tuttavia si esaminano le teorie e le ideologie demografiche nel loro intreccio con processi concreti della storia reale, ci si rende conto che le profezie neo-malthusiane contengono sempre la possibilità di una smentita. L’allarme che si genera costantemente di fronte ad ogni nuova proiezione demografica (espresso sia con la metafora del deserto spopolato che con il formicaio brulicante) deve essere sottoposto a un vaglio critico che sappia evitare di cadere in una eccessiva fiducia nelle proiezioni aritmetiche e nei calcoli probabilistici, non correndo così il rischio di «fungere da supporto più o meno cosciente a disegni demografici avventurosi e totalitari, come il popolazionismo al servizio della politica di potenza o l’obbligo del figlio unico».