Aumentare il numero degli spettatori per cinema, teatri, spettacolo dal vivo; obbligo di mascherine Ffp2 e marcia indietro sui tamponi entro 48 ore prima l’inizio degli eventi. Anche di questo ha discusso ieri il Comitato Tecnico Scientifico (Cts) con il ministro della Cultura Dario Franceschini.

Una volta definite, le proposte saranno adottate quando si tornerà alle «zone gialle», forse dall’inizio di maggio in poi. Saranno le regioni a realizzare una simile «sperimentazione». L’ipotesi potrebbe essere contenuta in un nuovo protocollo per lo spettacolo dal vivo al quale hanno lavorato in particolare le direzioni generali Spettacolo e Cinema che si sono ispirate a un concerto «Covid free» in Olanda e a un altro pubblicizzato da Barcellona. Il Cts si esprimerà a breve per permettere al governo di deliberare. Franceschini ha ribadito che la situazione non è più sostenibile per lo spettacolo. Uscendo dalla riunione ieri il ministro ha gettato acqua sul fuoco e ha detto che non servirà fare il tampone per tornare al cinema o al teatro.

La precisazione è stata fatta perché nelle ore precedenti all’incontro l’Agis, parte della rete «Ricominciamo» composta da 80 realtà, ha espresso molti dubbi sulle indiscrezioni che circolano da giorni. «Non si può – sostiene l’Agis – ipotizzare una capienza fissa che non tenga in considerazione la reale dimensione della sala». In più, «i componenti dello stesso nucleo familiare o conviventi o le persone che in base alle disposizioni vigenti non sono soggette a tali disposizioni». L’ipotesi mascherine Ffp2 è stata accettata, a patto che servano ad aumentare il numero di spettatori e «sia funzionale ad un aumento della capienza delle sale». «No» al tampone obbligatorio considerato «un elemento di discriminazione sociale oltre che un ulteriore disincentivo alla partecipazione». Aggiungere il costo dei tamponi molecolari, da realizzare nei due giorni precedenti, a quello del biglietto, dopo mesi di chiusura per pandemia, significa ostacolare il ritorno degli spettatori già sottoposti a limitazioni di ogni tipo. Secondo l’Agis l’effimera riapertura organizzata dallo scorso giugno sino ad ottobre ha dimostrato la responsabilità del pubblico. Tuttavia i lavori fatti per rispettare le norme di sicurezza fissate allora si sono rivelati inutili. Molti sperano che per la prossima apertura il governo tenga conto dei costi.

Continua a mancare una soluzione strutturale per i lavoratori dello spettacolo mobilitati per una riforma del loro settore e contro le discriminazioni provocate da un Welfare emergenziale, corporativo e occasionale che anche il governo Draghi, dopo il «Conte 2», continua a perseguire ciecamente. Dall’occupazione del chiostro del Piccolo Teatro Grassi a Milano all’assemblea permanente organizzata dal Coordinamento Arte e Spettacolo Campania (ogni venerdì in piazza, il 9 aprile con loro c’era anche Ascanio Celestini), più tanti altri soggetti composti da sarte, attori, attrici, danzatrici, tecnici chiedono da mesi un tavolo anche con il ministero del lavoro; un «reddito di continuità» strutturale, la contribuzione figurativa per il 2020 e il 2021. «Non possiamo più aspettare – dicono – Il sistema dei bonus si è rivelato totalmente insufficiente». Gli auto-organizzati dello spettacolo di Roma criticano l’esiguo bonus stanziato dal Lazio di Zingaretti (Pd). «Non ci stancheremo mai di ripetere che il tempo delle misure emergenziali è finito – sostengono i lavoratori – Servono misure di reddito strutturali per tutti».

Visto che le chiese sono aperte, e i teatri chiusi, ieri a Milano gli intermittenti dello spettacolo hanno organizzato il flash mob «Magnificat – un canto corale» nella chiesa di Santa Maria, presso San Satiro, in via Torino: «L’arte – sostengono – ha bisogno di ritornare al rito collettivo ed essere viva e partecipata».