Si parla tanto di sicurezza alimentare in Cina, negli ultimi tempi, anche grazie all’attenzione che sul tema pone la nascente classe media cinese; ma a morire sono sempre i lavoratori, anche quando impegnati in fabbrica per produrre beni alimentari. È il prezzo del progresso cinese, che mette quasi sempre le condizioni di sicurezza dei lavoratori, un gradino più in basso rispetto alla massimizzazione della produzione. L’ultima tragedia, avvenuta ieri, è lì a confermarlo.

Stando agli ultimi dati, sarebbero infatti 112 i morti in una fabbrica di lavorazione dei polli vicino a Dehui, nella provincia di Jilin, nord est cinese a un paio di centinaia di chilometri dalla capitale, in seguito all’incendio propagatosi nella prima mattinata. Il numero delle vittime è stato confermato dal microblog delle autorità provinciali nel pomeriggio, con la notizia di 54 persone ricoverate nei vicini ospedali. L’incendio sembra essere stato innescato da tre esplosioni nel sistema elettrico della fabbrica, secondo quanto riportato dalla Xinhua, l’agenzia di stampa ufficiale in Cina, che inizialmente aveva diffuso la notizia di 60 morti. L’incendio, iniziato alle 6 del mattino, avrebbe carbonizzato l’intero impianto lasciando i lavoratori intrappolati all’interno di capannoni. Le prime testimonianze raccolte confermerebbero i dati e le motivazioni dell’incendio rilasciate dai media di stato.

Stando a queste prime voci, che ancora devono essere confermate, sembra che i lavoratori si siano trovati in una vera e propria trappola, dato che il portone per l’uscita pare fosse stato chiuso. Xinhua ha citato alcuni sopravvissuti, che hanno specificato che la situazione all’interno del capannone era «complicata» in termini di sicurezza, a causa di uscite strette e una conformazione che non avrebbero favorito le uscite di emergenza. Anche la televisione di stato, la Cctv ha mandato in onda le immagini del capannone in fiamme e quelle di lavoratori sopravvissuti, che hanno chiesto di rimanere anonimi, mentre raccontavano che lo scoppio sarebbe avvenuto durante il cambio turno, mentre nell’impianto erano presenti 350 operai.

C’è da chiedersi cosa stiano pensando gli americani di Smithfield, l’azienda che lavora la carne dei maiali, fresca di acquisto da parte della Cina, in quella che è la più grande acquisizione cinese all’estero. L’impianto di Jilin che ha visto questa nuova strage di lavoratori appartiene alla Jilin Baoyuanfeng Poltry Company, una delle aziende più importanti in Cina in fatto di lavorazione di polli. Creata e messa in piedi nel 2009 l’azienda impiega circa 1.200 persone e produce ogni anno 67mila tonnellate di prodotti con pollame.

Jason Yan, direttore tecnico del Grains Council americano, al momento a Pechino, ha detto al Washington Post «che le condizioni di sicurezza di solito vengono ultime nella progettazione di tali edifici, che hanno come priorità le caratteristiche per massimizzare la produzione e l’efficienza energetica». Il problema per la Cina è che le questioni di sicurezza, spesso nascondono il retroscena più importante, ovvero la corruzione dei funzionari. La Cina ha risultati deludenti sulla sicurezza antincendio. Nel 2008 a Shenzhen un incendio in una discoteca provocò 44 morti e venne fuori, in seguito, che un poliziotto aveva accettato tangenti per chiudere un occhio sulle pecche. Nel 2000 invece fu il turno di 309 operai in un centro commerciale, uccisi dal fuoco e senza via di uscite, mentre nel 2010 l’incendio di un grattacielo a Shanghai causò la morte di 58 persone.