Il colloquio dura quasi due ore: un’eternità. Non era mai successo. Del resto non si era nemmeno mai verificato che un presidente della Repubblica vedesse per la prima volta il futuro presidente del consiglio solo all’atto di conferirgli l’incarico. Capita invece a Sergio Mattarella e Giuseppe Conte, che si incontrano solo quando il giurista varca la soglia del Quirinale, intorno alle 17.30, e questo spiega in parte la lunghezza del colloquio che precede il conferimento del sospiratissimo incarico.

MA C’È EVIDENTEMENTE di più, e di cosa si tratti lo si deduce facilmente dal breve discorso con cui Conte annuncia di aver accettato l’incarico, come d’uso «con riserva». Inizierà le consultazioni oggi di buon’ora, alle 8 a Montecitorio. Il voto di fiducia al Senato è previsto per mercoledì prossimo. In mezzo una quantità di scogli da superare, ministero per ministero. Non ci sarebbe da stupirsi se il nuovo governo arrivasse a giurare solo martedì prossimo, a ridosso della fiducia.

Di fronte ai microfoni della sala stampa del Quirinale, l’incaricato, chiaramente emozionato a tratti incespicando, cerca di tenersi in equilibrio tra le esigenze del Colle e quelle dei partiti che lo insediano. E’ un passaggio visibilmente suggerito, se non addirittura dettato, dal capo dello Stato quello iniziale, nel quale Conte si dichiara «consapevole di confermare la collocazione internazionale ed europea dell’Italia», ed è farina del presidente anche l’insistenza sulle prossime scadenze, in agenda al consiglio europeo di fine giugno, alle quali si sa che Mattarella attribuisce, giustamente, massima importanza: «Il governo dovrà cimentarsi da subito con i negoziati sui temi del bilancio europeo, della riforma del diritto d’asilo e del completamento dell’unione bancaria».

TUTTO IL RESTO DEL DISCORSO è però targato Lega e soprattutto M5S. L’enfasi sul «governo del cambiamento». La promessa di essere «l’avvocato difensore del popolo italiano». La rivendicazione del contratto, «al quale ho collaborato». Soprattutto l’impegno a portare di fronte alle Camere «un programma basato sulle intese tra le forze politiche di maggioranza». Cioè proprio su quel contratto che «rappresenta in pieno le aspettative di cambiamento degli italiani».

GIUSEPPE CONTE, privo di una sua forza politica o d’altra natura, è e resterà l’uomo di Salvini e Di Maio. Ma da ieri deve essere anche l’uomo delle istituzioni, dunque l’uomo del Colle. Cosa significhi Mattarella lo ha spiegato nel lungo colloquio. Vuol dire tenere conto delle «esigenze dell’economia», cioè tenere il Paese al riparo da tempeste finanziarie, dunque non sfidare Bruxelles. Significa rispettare i vincoli di bilancio, come ha sottolineato il presidente squadernando quell’articolo 81 della Costituzione che lo impone. Ma per tutto questo Conte deve reclamare e difendere la propria autonomia, rivendicare le prerogative che la Carta assegna al presidente del consiglio. E’ il tasto su cui Mattarella batte di più nelle due ore e passa di faccia a faccia. Ma è una missione difficilissima. Il vero esame a cui Conte dovrà sottoporsi subito, nella scelta dei ministri.

LE GRANE, SU QUEL FRONTE, sono parecchie. La più grossa è il ministero dell’Economia. La Lega insiste e fa quadrato intorno a Paolo Savona, che ieri si è dimesso dalla presidenza del fondo Euklid, dimostrando così di attendere la chiamata al ministero. Il Quirinale non è dello stesso parere. Le voci su una sostituzione con Giorgetti dilagano nei palazzi della politica per tutta la giornata. Poi la Lega prova a stopparle con un comunicato ufficiale che esclude la candidatura del numero due del Carroccio per quella postazione. Ma la partita, data la determinazione del Colle, è del tutto aperta. Come lo è quella sul ministero della Difesa, altra casella fondamentale e ancora vuota, per non parlare degli Esteri, dove Salvini si è frapposto all’ascesa, già data per certa, di Giampaolo Massolo, personaggio di grande esperienza anche alla guida dei servizi segreti ma che in effetti di «nuovo» può vantare poco e niente.

Anche tra i partiti di maggioranza, peraltro, permangono contenziosi aperti: sul ministero delle Infrastrutture, postazione strategica e delicatissima perché proprio su quel fronte si registrano le massime distanze tra Lega e 5 Stelle. E poi sulla delega ai servizi segreti, che Di Maio preferirebbe comprensibilmente non lasciare nelle mani del sottosagretario leghista alla presidenza del consiglio.

MA IL TASSELLO fondamentale è ormai andato a posto, e al Quirinale sono convinti che fosse l’unico sul quale potesse saltare tutto all’ultimo momento. Per questo quando ieri a pranzo Salvini e Di Maio, dopo l’ennesimo vertice, hanno confermato la loro intesa su Conte, Mattarella ha rotto gli indugi, messo da parte ogni dubbio e convocato il futuro premier.