Il regime egiziano mette le mani sul diritto di famiglia e le donne si mobilitano. In un paese in cui la povertà avanza a passo spedito colpendo soprattutto le categorie economicamente più fragili, tra cui le donne, in cui l’Onu stima che il 99% di loro ha subito almeno una volta nella vita una forma di violenza, in cui si calcolano centinaia di prigioniere politiche sottoposte ad abusi quotidiani (tre di loro condannate alla pena capitale), ora Il Cairo sta lavorando a un arretramento dei diritti delle donne.

Sul tavolo ci sono una serie di emendamenti al diritto di famiglia che riducono le donne a soggetti meno capaci degli uomini nella gestione della propria vita e di quella dei figli.

Nella bozza della riforma fatta trapelare alla stampa è infatti prevista la figura del guardiano, un uomo che dovrà dare il proprio consenso alla donna – che sia la figlia, la moglie o la sorella – che intende viaggiare, sposarsi o prendere decisioni sulla salute dei figli.

Quarantacinque pagine che hanno provocato la sollevazione delle organizzazioni per i diritti umani e le associazioni femministe che descrivono la bozza una riforma «arcaica» che riporta il paese indietro di 200 anni.

Tra gli articoli più controversi, c’è quello che riconosce al guardiano il diritto di annullare il matrimonio della figlia, della sorella o della nipote entro un anno se ritiene che il coniuge non sia di pari livello sociale o di suo gradimento, o se l’unione è avvenuta senza il suo consenso.

Una forma legale di oppressione, l’hanno definita sulla stampa araba svariati analisti, «che ribadisce la cultura patriarcale dominante della classe dirigente». A nulla serve avere otto ministre nel governo o quote rosa in parlamento se la stragrande maggioranza delle donne egiziane è legalmente considerata incapace di decidere per sé.

Lo mette nero su bianco un altro articolo della riforma che toglie potestà alla madre in merito alla salute e l’educazione dei figli, fino alla registrazione dei nuovi nati, possibile solo in presenza del padre.

C’è poi il capitolo poligamia: l’uomo potrà sposare un’altra donna limitandosi a informare la moglie, pena l’arresto. Alla moglie viene tolto il diritto di rigettare il secondo matrimonio e di divorziare, le condizioni previste dall’islam.

Unica nota positiva è l’«assicurazione» a favore della donna in caso di divorzio non consensuale, una previsione apprezzata soprattutto dalle classi più basse, dove un divorzio può costare alla donna che non lavora l’unica fonte di sopravvivenza economica.

Ma se la legge non è stata ancora approvata, 50 organizzazioni di donne egiziane si sono già mobilitate con una dichiarazione congiunta che chiede il rispetto dei diritti umani fondamentali e della stessa Costituzione: alla base sta la richiesta, basilare, di riconoscere l’uguaglianza legale di donne e uomini, nella società come in famiglia.

«Rigettiamo totalmente questa legge – il commento dell’Egyptian Centre for Women’s Rights – Abbiamo donne ministre che firmano contratti milionari in nome dello Stato, ma che con questa riforma non potrebbero nemmeno sposarsi liberamente o viaggiare, nemmeno per lavoro, senza il permesso del guardiano».