Una delle più significative, e rivelatrici, manifestazioni della nuova scena italiana, è tornata «dal vivo» nei giorni scorsi, quasi senza aver perso nulla della sua storica vitalità. Perché Inbox dal vivo ha una caratteristica assai particolare: quella di mettere insieme, come giuria e anche come «spettatori» di mercato, una settantina di istituzioni, imprese, cooperative e circuiti di tutta Italia, che si fanno essi stessi forza propositiva di «prodotti» teatrali destinati a entrare nella distribuzione. Perché vincitori risultano quelli che gli stessi operatori scritturano per la stagione prossima, e sarà il numero dei contratti ottenuti a determinare la «classifica» finale della manifestazione. Un modo concreto di portare aiuto al teatro e ai teatranti (tanto più in questi grami periodi) ma anche un’occasione, per molti artisti, di uscire dall’isolamento che la pandemia ha drammaticamente e ulteriormente accentuato.
Promossa dal gruppo senese Straligut, con il sostegno fattivo della Fondazione Toscana Spettacolo e delle istituzioni locali senesi e regionali, In-box ha concluso la scorsa settimana la prima parte della sua mission, ma vede ancora in corso questi giorni Inbox verde dedicata al teatro per l’infanzia.

SEI ERANO gli spettacoli finalisti che si sono contesi le scritture/premio, tutti diversi per genere e linguaggio, ma tutti fortemente motivati e agguerriti. A raccogliere il maggior numero di consensi, una produzione romana Apocalisse tascabile, di Fettarappa Sandri e Guerrieri, realizzato con Carrozzerie Not. È una scorribanda con venature «teologiche» nella periferia romana dove sono riconoscibili solo centri commerciali e storiche borgate, paesaggio lunare e inquietante che i due interpreti, a cavallo di un carrello da supermercato, affrontano con comicità tanto veloce, da evocare quella televisiva, più che una reale drammaticità.
Dietro a loro si sono piazzate le due cose forse più interessanti per tema e linguaggio. Il colloquio, del Collettivo Lunazione, è quello che tre donne attendono di avere con i loro congiunti in carcere. Divertente quanto crudele, interpretato da tre uomini nelle vesti di quelle «congiunte» scopre non solo la barocca architettura della loro vita, ma anche la complessità del ruolo nel dover mediare fra il dentro e il fuori della società.

TRA UNA BEFFA e una rivelazione, le tre «mogli» scoprono in maniera dolorosa l’omologazione di ruolo che esse all’esterno rappresentano dei parenti «criminali» chiusi dentro. Una contraddizione ancor più crudele, tutta all’interno di una famiglia agricola in qualche periferia padana, è quella che racconta La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza, del gruppo Les Moustaches. Un padre abbrutito dal lavoro agricolo e dai suoi valori ancestrali, e due figli intensi lavoratori. Uno «normale», l’altro affetto da una insana e poco compatibile passione per la danza (tanto da mostrarsi sin dall’inizio col suo corpaccione stretto in un roseo tutù). Una diversità che non può che aggravarsi, fino ad una visionaria e tragica soluzione finale.

DI MAGGIORI ambizioni, e complicazioni, sarebbe Arturo, di Nardinocchi e Matcovich, che partendo dal personaggio procidano di Elsa Morante, cercano di coinvolgere il pubblico in una indagine sulla figura paterna. Il fondo di verità e commozione, innegabile, viene risucchiato e attutito proprio dal coinvolgimento degli spettatori, ove rischiano di smarrirsi le emozioni e i turbamenti di ciascuno.
Da citare infine Blue Thunder, di Padraic Walsh (nato tempo fa nella rassegna romana Trend), dove lo scrittore irlandese ci porta in un interno familiare stravolto: un van che un padre usa di giorno come taxi e la notte come ricovero. I disastri della famiglia come microsocietà hanno il fascino di tanta nuova drammaturgia anglosassone, e Marco Cavalcoli dà in sottrazione un bello spessore a quel padre. In cerca di una meta, ma non più consapevole di quanto lo siano i due figli.