In Italia la precarietà dilaga e la corsa senza freni del lavoro senza tutele continua anche in questa fase di ripresa dell’economia post pandemia. Lo certifica l’Inapp, Istituto per l’analisi sulle politiche pubbliche che ieri ha presentato il suo Rapporto annuale.

IL DATO CHE BALZA SUBITO agli occhi è quello rispetto alle Comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro: tra il 2008 e il 2019 i contratti a termine sono cresciuti del 36,3% ma l’occupazione è aumentata solo dell’1,4%. «L’incidenza del lavoro a termine sull’occupazione dipendente – ha spiegato il presidente Sebastiano Fadda – è passata dal 13,2% del 2008 al 16,9% del 2019». L’Inapp sottolinea che l’incremento è stato registrato quasi interamente nelle fasi di ripresa della crescita, dal 2014 al 2018 (+31,6%).

«Anche la distribuzione funzionale del reddito – si legge nel Rapporto – ha mostrato un peggioramento persistente come conseguenza della contrazione marcata delle retribuzioni a fronte del trend crescente, seppur debolmente, della produttività del lavoro. La flessibilità nel nostro paese si traduce così in una sempre maggiore precarietà, un andamento che continua anche nella ripresa post Covid dove sono sempre i contratti a termine, part time e di somministrazione ad essere scelti dalle imprese». Nel trimestre marzo-maggio 2021 gli occupati precari sono saliti di 188mila unità mentre gli stabili sono diminuiti di 70mila unità. Le imprese – afferma il Rapporto – «sembrano non scommettere con convinzione sulla ripartenza dopo la crisi imposta dalla pandemia, dove solo il blocco dei licenziamenti ha tutelato di fatto i lavoratori più fragili». «Nell’ultimo anno e mezzo – ha spiegato Fadda – molti lavoratori sono stati artificiosamente “congelati” nei loro posti e adesso bisogna avere la capacità di “scongelare il lavoro”, sostenendone la domanda sia nei settori tradizionali più colpiti sia in quelli più innovativi». Secondo Fadda bisogna investire sulla formazione e potenziare i centri per l’impiego «la cui azione è oggi fortemente carente».

Anche la distribuzione funzionale del reddito ha mostrato un peggioramento persistente come conseguenza della contrazione marcata delle retribuzioni salariali a fronte del trend crescente, seppur debolmente, della produttività del lavoro.

NEL RAPPORTO SI METTONO in evidenza anche le sfide della Pubblica Amministrazione con «la riduzione progressiva e costante del numero di dipendenti pubblici avvenuta negli ultimi venti anni: circa 350mila unità, pari al 10% dell’organico, di cui 212mila nell’ultimo decennio. «Alla riduzione di personale – conclude il Rapporto – ha fatto da contrappunto il suo crescente invecchiamento, con un’età media dei dipendenti di 50,7 anni (era di 44 anni nel 2003) e una quota di under 30 pari ad appena il 3% del totale, sei volte in meno degli over 60 (18%).

«UNA ANALISI LUCIDA e impietosa», commenta la segretaria confederale Cgil Tania Scacchetti. Che cita un passaggio: “Il ricorso persistente a strategie basate unicamente sulla riduzione dei costi del lavoro non accompagnate da politiche tese a migliorare gli investimenti e quindi la produzione”. Secondo Scacchetti è stato «svalorizzato e minimizzato il ruolo del lavoro, con l’arretramento delle politiche pubbliche. Occorre quindi – conclude – invertire questa tendenza scommettendo sull’aumento dell’occupazione stabile, favorire gli investimenti in innovazione ricerca e formazione».