Cala il numero di morti sul lavoro. Ma c’è poco di cui essere soddisfatti. Perché si tratta pur sempre di una strage: una media di due vittime al giorno. E poi perché, proprio come l’inflazione bassa, anche questo dato – reso pubblico ieri dall’Inail nella sua relazione annuale al parlamento – è uno dei tanti indici che testimoniano la crisi. Si lavora meno, dunque si muore meno. Tutto qui. Questo senza pensare al fatto che molti lavoratori non sono coperti dall’Inail ma da altri sistemi assicurativi e che molti non sono coperti affatto perché lavorano in nero. E in questo caso la recessione economica non fa che nascondere il numero degli infortuni mortali che passano dal lavoro regolare a quello sommerso.

I morti sul lavoro coperti dall’Inail nel 2013 sono stati 660, in calo dell’21% rispetto all’anno prima e al minimo storico dal 1954. Gli infortuni mortali denunciati sono stati 1175 (-11,7%) ma ne sono stati riconosciuti poco più della metà, 36 sono ancora sotto istruttoria. Di questi 376 sono avvenuti fuori dalle aziende (57%). Le denunce di infortuni sono state 695 mila (-7% rispetto al 2012 e -21% rispetto al 2009). Gli infortuni riconosciuti però sono circa 460 mila (-9,4%). Gli infortuni sul lavoro hanno provocato 11 milioni e mezzo di giornate di inabilità a carico dell’Inail. Aumentano invece le denunce di malattie professionali: quasi 52 mila (5.500 in più rispetto al 2012, +12% rispetto al 2012, +47% rispetto al 2009). Hanno riguardato 39.300 lavoratori ammalati. Di queste ne è statp riconosciuto il 38%: I lavoratori morti per malattie professionali sono stati quasi 1500 (-33%), il 62% aveva più di 74 al momento del decesso. Il calo degli infortuni mortali riguarda tutti i settori produttivi: 560 nell’industria e nei servizi (-22,22%), 85 nell’agricoltura (-18,27%). E i morti sono diminuiti quasi su tutto il territorio nazioanle: 180 nel nord-ovet contro i 224 del 2012, 134 nel nord est contro 211 dell’anno precedente, 148 al centro (-13), 133 al sud contro 175 del 2012. Sono quasi invariati solo nelle isole: 165, uno in più dell’anno prima. Il bilancio dell’Inail registra entrate per più di 10 miliardi e uscite per poco meno di 9 miliardi. Un miliardo di disavanzo ogni anno ha migliorato il patrimonio che ha superato i cinque miliardi e mezzo. Nei prossimi anni l’istituto dovrà rinunciare a 500 mila euro l’anno per effetto della riduzione dei premi e dei contributi assicurativi decisi dall’ultima legge di stabilità. Ma il suo tesoretto fa gola al governo. Lo ha detto chiaramente ieri il ministro del lavoro Giuliano Poletti che ha parlato di “utilizzare le riserve tecniche dell’Inail per costituire un fondo da usare per investimenti a sostegno dello sviluppo”.

Poletti ha mostrato un cauto ottimismo, ha detto che i dati attesterebbero una riduzione degli infortuni anche al netto della crisi e ha aggiunto: “Si tratta di un buon dato ma non è un punto di arrivo. E’ chiaro che siamo dentro a una dinamica positiva ma dobbiamo fare in modo che le cose migliorino. La soddisfazione arriverà quando non ci saranno più morti sul lavoro”. Molto più prudenti i sindacati. La Uil sostiene che il calo è dovuto alla diminuizione del 25% della produzione dal 2008 ad oggi. Un parere sostanzialmente condiviso anche dalla Cgil: “Il combinato disposto precarietà, aumento della disoccupazione e della cassa integrazione, abbatte il numero delle denunce, senza considerare che ci sono ancora molti settori in cui i lavoratori non sono iscritti all’Inail”. Ancora più allarmato il commento della Filca-Cisl: “Nel settore delle costruzioni si sono persi 800 mila posti di lavoro dal 2007 e gli infortuni di questo settore rappresentanto da soli il 25% del totale”. Ma forse il dato più allarmante riguarda i controlli sulle aziende: l’Inail ne ha effettuati 23.677 e nell’87,65% dei casi sono state riscontrate irregolarità. Sono stati regolarizzati oltre 70 mila lavoratori di cui quasi 8 mila erano in nero.