Il quarto attacco da novembre, il terzo in tre mesi: lo Stato Islamico terrorizza Sana’a, capitale devastata e target quotidiano dei raid sauditi. A tre mesi esatti dalla carneficina alle moschee di al-Badr e al-Hashahush (140 morti), a tre giorni dall’attacco contro tre moschee e l’ufficio politico Houthi (30 vittime), ieri un’altra autobomba dell’Isis ha fatto tremare la capitale. Tre morti e sei feriti, il bilancio dell’attentato contro la moschea di Kobbat al-Mehdi, usata per lo più da combattenti Houthi.

Appaiono chiari i responsabili indiretti delle stragi: lo stallo politico e l’operazione militare saudita contro il paese. Il caos provocato dall’incapacità del governo di gestire le richieste legittime del movimento Houthi, culminate lo scorso anno nell’occupazione della capitale, e dalla palese interferenza di Riyadh regalano libertà di movimento ai gruppi radicali islamici. A nord l’Isis – seppur non sia ancora chiaro se si tratti di cellule direttamente gestite dal califfo o di un gruppo simpatizzante – e a sud est al Qaeda, che controlla quasi interamente la provincia di Hadhramut (area di per sé instabile per le forti spinte secessioniste dal resto dello Yemen).

Due gruppi rivali che combattono lo stesso nemico: il movimento sciita Houthi. E per questo godono dell’immunità dai raid sauditi, che preferiscono centrare aree civili. Ieri una serie di bombardamenti da parte dell’aviazione dei Saud ha colpito la capitale Sana’a e aree al confine con il territorio saudita. Target anche la base aerea Dulaimi, vicino all’aeroporto internazionale della capitale, e le città di Aden (capitale provvisoria del governo ufficiale, colpita ieri da ben 15 raid), Lahj e Sadaa.

Alla crisi politica, che si sta traducendo nella frammentazione del paese tra governo ufficiale, Houthi, poteri tribali e gruppi estremisti, si aggiunge quella umanitaria: 2.600 morti dal 26 marzo, 11mila feriti, 13 milioni di dollari di danni, oltre un milione di sfollati, 20 milioni di persone (l’80% della popolazione) senza regolare accesso a cibo, acqua potabile e medicinali a causa del blocco aereo e navale imposto dall’Arabia saudita.

La risposta diplomatica è nulla: il negoziato sponsorizzato dall’Onu è fallito. Nonostante i due giorni i più concessi dall’inviato Onu Cheikh Ahmed (più a favore della credibilità del Palazzo di Vetro che della volontà dei negoziatori), il dialogo di Ginevra si è chiuso senza risultati. Il cessate il fuoco non è stato archiviato, né tantomeno si è trovato un terreno comune in merito ad un’eventuale transizione politica.

Che nulla sarebbe stato archiviato in Svizzera era prevedibile: nessuna delle due parti – che non hanno neppure voluto sedere allo stesso tavolo – intende cedere, seppure nessuna prevarrà a breve sull’altra. Il movimento sciita sa di non godere dell’appoggio di chi detiente buona parte del potere, ovvero le tribù sunnite. Da parte loro, però, a tre mesi dall’inizio dell’operazione, i sauditi non hanno saputo piegare la resistenza Houthi.