L’ora x è scattata. La tendenza all’occupazione mediatica da parte del governo in vista del referendum sulla Costituzione è diventata una pratica normale. Come nel liberismo selvaggio, dove la legge è piegata agli interessi dei potenti, anche nell’universo dell’informazione sta avvenendo uno scontro da film western, Bmovie naturalmente.

L’ascia di guerra è stata dissotterrata nella trasmissione «In mezz’ora» della scorsa domenica dalla ministra Boschi, che ha attaccato l’Anpi e urlato le parole d’ordine che sentiremo nei prossimi mesi. Le ragioni del Sì al referendum. Ma senza contraddittorio e neppure potendo un rappresentante dell’esecutivo partecipare in periodo di stretta par condicio ad una trasmissione televisiva, non ravvisandosi un motivo di tale urgenza da permettere un’eccezione. Renzi, a sua volta, sta tambureggiando quotidianamente, sempre e senza contraddittorio.

Si dice che per la par condicio referendaria siamo ancora lontani dal tempo protetto e, quindi, campagna a go go. Anzi, la legge è aggirata due volte, visto che il battage è utilizzato, ovviamente, anche per il prossimo voto amministrativo. Se si leggono in sequenza le norme del Testo unico della radiodiffusione del 2005, le disposizioni generali della legge 28 del 2000, nonché le apposite delibere in materia dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni della consiliatura precedente (2011) si evince che l’equilibrio tra le due posizioni – Sì e No- deve essere un obbligo permanente e non relegato alle maglie certo di maggior rigore del rush finale. Il comitato referendario ha scritto un esposto circostanziato, firmato dal presidente Alessandro Pace, all’Agcom.

Quest’ultima ne discuterà in queste ore. Sarebbe il minimo, visto lo sconquasso in corso e letti i dati pubblicati dalla stessa autorità, inerenti al «tempo di antenna» dei diversi soggetti dal 9 al 15 maggio. Siamo oltre il 44% se sommiamo partito democratico e governo sulla Rai, e circa altrettanto su Mediaset. Così su La7 e, in modo persino clamoroso, su Sky, dove si tocca il 50%. L’Agcom dia un segno di vita, essendo nata proprio per tutelare l’articolo 21 della Costituzione. Così fu pensata nella scrittura della legge 249 del 1997 che la istituì.

Se non risponde agli obblighi di legge è bene che si sciolga per conclamata insufficienza. Non è una polemica, bensì una constatazione, avrebbe detto Montanelli. Ci si può legittimamente attendere qualche aspra sanzione. E servono tanto riequilibri concreti per recuperare le violazioni, quanto un immediato indirizzo sul tema referendario. Se è vero che si tratta di una scadenza caricata di significato politico, ecco allora emergere in tutta la sua drammatica urgenza la questione del pluralismo.

Vedremo ciò che sarà stabilito, ma è matura un’ulteriore iniziativa rivolta ai presidenti di camera e senato: il parlamento da cui l’Agcom trae origine.

Il presidente della commissione parlamentare di vigilanza Fico ha criticato la Rai. Bene. La commissione, però, è l’altro polo della responsabilità, su quella parte pubblica che è concessionaria dello stato proprio nella misura in cui dà voce alle varie componenti della società.

Tra l’altro, è in corso la consultazione promossa dal governo in vista del rinnovo dell’atto di concessione.

Alle 36 domande rivolte ai cittadini ne andrebbe aggiunta una sul rispetto delle opinioni e sul racconto della realtà. Una domanda (la numero 15) parla del senso di identità nazionale. 15 bis: ma si vuole un paese democratico o uno dominato dal peronismo elettronico?