Crisi della sinistra, ma anche crisi della politica, come ci ha spiegato nei suoi ultimi scritti e nel Midollo del leone il nostro Alfredo Reichlin e come conferma il fatto che la formazione politica che raccoglie più consenso sia oggi il Movimento 5 Stelle. Aggiungerei ancora che c’è anche crisi della cultura e della scuola.

La crisi della sinistra non è solo italiana, ma investe tutto il mondo che definiamo occidentale: pensiamo solo agli Usa di Donald Trump.

Questa crisi dipende anche da cambiamenti strutturali: innovazioni tecnologiche («la nuova rivoluzione delle macchine»), globalizzazione, finanziarizzazione dell’economia… Tutti mutamenti che hanno seriamente indebolito i lavoratori, quel che una volta chiamavamo classe operaia, proletariato, le innovazioni tecnologiche riducono l’impiego di lavoro vivo.

La globalizzazione tende a formare un proletariato in aree finora sottosviluppate ma crea una forte concorrenza al proletariato storico del nostro Occidente. La crescita di peso della finanza contribuisce alla formazione di poteri del tutto indipendenti dal lavoro vivo e che condizionano – se addirittura non dominano – il lavoro vivo, cioè la base sociale della sinistra storica.

Questo mutamento storico – che io appena accenno – andrebbe studiato e approfondito: siamo in presenza di un nuovo capitalismo (assai diverso e più pesante del neocapitalismo) che va studiato seriamente per individuare anche con che tipo di lotte dobbiamo contrastarlo e se di queste lotte si debbono far carico solo i lavoratori e non anche i cittadini. E ancora: che rivendicazioni mettere in campo?

Centrale mi sembra la riduzione dell’orario di lavoro, con un allargamento del tempo libero che provocherebbe anche una crescita dei consumi.

E penso anche che dovremmo prolungare la scuola dell’obbligo: per vivere in questa incombente modernità non basta più la terza media. Altro tema da affrontare in modo nuovo è la globalizzazione: come i lavoratori super sfruttati del terzo mondo debbono entrare in campo, come possiamo coinvolgerli nella lotta comune?

Dobbiamo capire che siamo a un passaggio d’epoca, direi un po’ come ai tempi di Marx quando il capitalismo diventava realtà e cambiava non solo i modi di produzione, ma anche i modi di vivere degli esseri umani.

Quando scrivo «passaggio d’epoca» vorrei ricordare che il capitalismo fu, certamente, un passaggio d’epoca, ma conservò modi di pensare e valori e anche autori del passato greco-romano, come dire che nella discontinuità c’è sempre anche una continuità, ma questo non ci deve impedire di capire i mutamenti che condizioneranno la vita dei giovani e delle generazioni future.

Non possiamo non tener conto di quel che sta cambiando: dobbiamo studiarlo e sforzarci di capire, sarà un lungo lavoro e non mancheranno gli errori, ma alla fine un qualche Carlo Marx arriverà.

* Questo è l’ultimo articolo pubblicato su il manifesto, il 9 aprile scorso