Peppe Scopelliti dice che la ’ndrangheta, lui e la sua giunta regionale la combattono con i fatti e non con le parole o con i proclami. A parte che nemmeno i muri crederebbero a tali favole, la vicenda del campo di calcio di Gioiosa Jonica dovrebbe far impallidire di vergogna tutta l’istituzione regionale e smascherare il vero andazzo. Non fosse stato per l’accorato appello di don Luigi Ciotti, pubblicato dalla Gazzetta dello sport, l’operazione cinica e bara della Regione sarebbe andata in porto. E tutto sarebbe filato liscio come da copione. La vicenda ha del grottesco. Nel 2009 in terra di ’ndrangheta, nella signoria mafiosa degli Aquino, le associazioni Libera e Don Milani mettono in piedi un centro sportivo e lo bonificano, eliminando un vecchio magazzino pregno di amianto e trasformandolo in un’oasi nel deserto. In breve tempo diventa il luogo dove 200 ragazzini imparano a tirar calci a un pallone e alla criminalità. Una sfida tanto utopica quanto meravigliosa. Ma il terreno dove sorge il complesso (campi, aule, un parco giochi) è di proprietà della Regione attraverso l’agenzia Arssa, in via di smantellamento. Anche il campo di calcio di Gioiosa è finito in questo pentolone. Morale: la Regione ora pretende 185mila euro dall’associazione per l’acquisto del lotto, oppure se lo riprende e lo mette all’asta. E dunque nelle mani della ‘ndrangheta. I mafiosi si sfregano le mani. Non vedono l’ora di catapultarsi su quel terreno. D’altronde se sfruttando le falle della burocrazia e la complicità del sistema le ’ndrine riescono sovente a riappropriarsi di beni confiscati, per loro sarebbe un gioco da ragazzi impossessarsi di un bene libero, venduto all’incanto.
L’appello di Libera però rischia di rovinare i piani. Il tam tam scorre e raccogliere la cifra di 185 mila euro non è più un miraggio. «Chiedo alla Regione di fermarsi, è ancora in tempo» ha affermato il coordinatore regionale di Sel, e sindaco di Lamezia, Gianni Speranza. «la messa in vendita da parte dell’area che ospita il campo ed il rischio di uno sfratto per i duecento ragazzi che lo frequentano, in un’attività sportiva libera dalle mafie, è odioso e non ha alcun senso. In una regione come la nostra bisognerebbe fare esattamente il contrario: moltiplicare esperienze del genere, curarle con amore e attenzione, proteggerle dalle minacce e dalla cieca burocrazia, ed invece, ancora una volta, un’esperienza sociale ed educativa viene messa a rischio». Intanto, l’altra notte qualcuno si è divertito nell’unico modo che conosce: entrando nella struttura e devastando il bar. Insomma, vandalismo e furto di pochi spiccioli. È il linguaggio della paura, è l’alfabeto del terrore ’ndranghetista, è il potere criminale che fa rumore. Nel silenzio di Scopelliti e dei suoi accoliti.