Condizionare i finanziamenti europei all’Ungheria, compresa la partecipazione all’imminente Piano di rilancio, al rispetto dello stato di diritto. Lo ha chiesto ieri il Parlamento europeo, invitando anche il Consiglio a proseguire con le sanzioni dell’articolo 7, procedura avviata nel 2018 contro Budapest (e la Polonia).

La Commissione però frena. La commissaria Vera Jourova ha spiegato ieri che per il momento non aprirà una procedura di infrazione contro Budapest sulla gestione dell’emergenza, anche se mette in atto «una valutazione quotidiana» della situazione, con «una preoccupazione particolare» per quello che sta succedendo in Ungheria, paese che auspica ritorni «nel campo della democrazia».

PER IL PARLAMENTO EUROPEO, l’Ungheria infrange i valori europei approfittando della crisi del Coronavirus, con la proclamazione di uno stato d’emergenza senza limiti di tempo e con la restrizione della libertà di espressione. La Commissione esamina in particolare le leggi di emergenza imposte da Viktor Orbán, che legifera per decreto e limita il diritto del lavoro. Sul caso di due persone arrestate con l’accusa di aver diffuso fake news sul Covid-19, la Commissione «valuta» se è possibile agire su base legale.

IL 30 MARZO SCORSO, Orbán ha decretato lo stato d’emergenza illimitato e ne ha subito approfittato per dimezzare i finanziamenti di partiti politici e per togliere soldi agli enti locali, in particolare alle città, come Budapest, governate dall’opposizione. Sono state inoltre create zone economiche speciali, con meno diritti per i lavoratori, i militari sono presenti negli ospedali (dove sono stati di autorità ridotti 10 mila letti per i servizi non dedicati al Covid-19) e anche nei supermercati.

L’Ungheria è sotto osservazione per il non rispetto della regolazione europea sulla protezione dei dati. Inoltre, ieri, la Corte di giustizia europea, sollecitata dal Comitato Helsinki Ungheria, ha condannato Budapest per il mantenimento illegale di richiedenti asilo nella zona di transito del campo di Röszke, alla frontiera con la Serbia.

ORBÁN HA RIFIUTATO di presentarsi ieri di fronte al Parlamento europeo e al suo posto ha inviato la ministra della Giustizia, Judit Varga. La Fidesz, il partito di Orbán, ha protestato per «il testardo rifiuto del socialista presidente del Parlamento, David Sassoli» che avrebbe impedito a Varga di difendere l’operato del suo paese.

«Sappiamo tutti cosa succede in Ungheria da dieci anni e ancora in queste ultime settimane – ha denunciato la verde Gwendaline Delbas-Corfield – conosciamo gli attacchi contro i media, la riforma giudiziaria, le misure discriminatorie». Malessere nel gruppo Ppe, dove la Fidesz è “sospesa” da un anno ma non espulsa, malgrado forti perplessità di alcuni.

A DIFENDERE IL GOVERNO di Orbán è sceso in campo ieri Nicolas Bay, del Rassemblement national (gruppo Identità e democrazia, dove siede anche la Lega, che spera di far entrare i 12 eurodeputati Fidesz se verranno espulsi dal Ppe): «Sappiamo che la ragione di questi attacchi è dovuta al rifiuto dell’Ungheria di adottare le politiche migratorie della Ue».