L’editore Perrone,nella elegante collana Passaggi di dogana, ci regala un’altra tappa di un percorso che privilegia scritti rari, misconosciuti eppure essenziali per la comprensione di un autore e della sua opera. È questo il caso di «La «svergolata Milano» curata con passione filologica da Lucia Lo Marco. È la storia di una giornata trascorsa nell’attraversamento della città colta nei momenti topici -mattino, mezzogiorno/ilpranzo, pomeriggio,sera, notte- con l’attenzione ai tipi, alle situazioni, alle atmosfere che solo un arguto osservatore può descrivere per riempire un taccuino che servirà da impiantito per un’opera più vasta. Il rimando, immediato,è al «Voyage» ma poi prendiamo coscienza che la geografia dei luoghi è diventata geografia esistenziale e in questo l’accostamento più sensibile è all’«Ulisse» joyciano. Laddove era assente, stante la grandezza dell’opera, l’ironia di cui Gadda è principe indiscusso. Milano è la città che Gadda ama sopra tutte, visceralmente, pur nutrendo per lei a fasi alterne momenti di mera repulsione. C’è l’incursione al macello con i respiri degli animali che in breve si confonderanno, perdendo la vita, con i fumi delle nebbie mattutine; il mercato ortofrutticolo che «si fa metafora» della città per gli scambi, la ricchezza delle proposte, il vocìo dei venditori che richiama l’operosità e il dinamismo di una Milano per molto tempo locomotiva del Paese; c’è la descrizione della Palazzina Liberty che prima di diventare laboratorio teatrale di Fo e Franca Rame è l’unico edificio esistente del complesso ortofrutticolo, allora sede di un caffè ristorante punto di ritrovo per i commercianti e per le loro contrattazioni; c’è il panegirico del carro, unico mezzo di locomozione che dalla primissima cintura convogliava in città le derrate alimentari e riporta col pensiero lo scrittore ad un’infanzia vissuta in parte in campagna dove i segni di riferimento erano quelli ‘uditivi’, al «rumore zoccolante dei carri e allo schiocco vivace della frusta»; c’è la descrizione minuziosa del locale mercato delle pulci, alias «fiera di Senigallia» in porta Lodovica dove si affastellano quantità inverosimili di carabattole, oggetti inutili e polverosi e, il più delle volte, inservibili che però sono paradigmatici dell’attitudine milanese a serbare, a conservare ed osserva con acume la curatrice che questi oggetti non hanno alla fine un valore pecuniario ma psicologico, la necessità attraverso l’oggetto fisico di perdurare e, di converso, di non perdere la memoria; troviamo il Gadda ‘architetto’ che disserta di bruttezze e di linearità e, a proposito di architetture che rovinano il paesaggio, menziona il ‘Kremlino’ esempio inguardabile del razionalismo ubicato dalle parti del Politecnico in via Colombo. La descrizione meticolosa di una serie pressoché infinita di piatti meneghini e la ricetta circostanziata del risotto alla milanese si fanno metafora alimentare di una vita vissuta a tutto tondo. Ma non è tutto. Rapisce anche qui il linguista, il ricercatore lessicale che ci lascia, ancora una volta, imbrigliati in una tela di costruzioni e di lemmi inconsueti e per questo arricchenti: «…le fette di coppa ‘disposte ad émbrice’,’frenòsi collettive’, ‘gli accamaònna e orcoìo».
Lucia Lo Marco,una ricercatrice che insegna oggi all’Università di Lione, chiosa quasi con discrezione ogni passo fino a raggiungere voce autorale in SERA quasi per per raggiungere, se possibile, il Parnaso dove è allogato in modo regale il Grande Milanese.