Il titolo di questo romanzo di esordio di Francesca Rosso Non più, non ancora (Golem edizioni, pp. 200, euro 16) rimanda a quel tempo che arriva nella vita di ognuno, in cui alcune colonne portanti sgretolandosi sono diventate solo macerie del passato, mentre quelle su cui si fonderà il nuovo presente sono ancora in costruzione. Si tratta di momenti di sospensione che di norma vengono considerati delle perdite di tempo, perché non prevedono l’avvento di niente di significativo, eppure costituiscono le condizioni necessarie perché tutto poi avvenga. È il tempo del bozzolo, della cova. Francesca Rosso lo sa raccontare, costruendo una storia anche originale, quella di una suora, Chiara, che insofferente alla rigidità dell’istituzione ecclesiastica, non perde la fede, anzi, ma neanche si arrende a incastrarla nelle regole asfittiche imposte alle suore.

DI CERTO, uno dei tratti di originalità di questo romanzo è il riferimento a Dio, illustre assente nella maggior parte delle narrazioni italiane contemporanee: qui lo troviamo nelle citazioni di alcuni versetti del Vangelo, nelle preghiere di Chiara, nella fede che vi ripone, che assomiglia molto di più alla ricerca di senso e di sostegno che all’adeguamento a un ordine superiore.

LA FEDE in questo romanzo si connota come l’esercizio di abbandono che Chiara deve fare per accettare i cambiamenti, per sostenere il terrore che accompagna lei come tutti quando ci si trova di fronte a degli imprevisti: l’innamoramento, per esempio, la morte delle persone amate. Anche la certezza di aver trovato la propria strada, senza poter sapere se ciò che si sta rivelando come il desiderio più importante della vita si trasformerà in un progetto o in un’orrenda delusione.
La voce narrante di Chiara racconta lo svolgersi delle sue avventure con il tono schietto che avrebbe una sorella, più che un padre spirituale, così nel romanzo l’ingenuità di chi ha vissuto per decenni nell’isolamento ovattato della vita sororale non è mai disturbante, ma fresca. Quando racconta della voglia di indossare dei jeans, di tingere i capelli, quando descrive il cibo e le bevande brasiliane, il suo impegno per imparare il portoghese. La parabola del percorso della protagonista, infatti, permette al lettore di spostarsi da una scuola superiore romana a un paesino di provincia del Lazio, per approdare in Brasile e in Amazzonia.
A far detonare la voglia di vita della protagonista, che non si limita e non coincide solo col desiderio di liberarsi dalle imposizioni ferree derivanti dalla scelta di farsi suora, ma si realizza nella decisione di aiutare le ragazzine che ne hanno davvero bisogno, a Roma come in Brasile, sono due figure femminili con cui Chiara è in conflitto.

LA PRIMA è sua madre, amata, ma da sempre in contrapposizione con la scelta della figlia di farsi suora e poi la madre superiore, Costanza. Si tratta di un rovesciamento interessante del monito di uccidere il padre per trovare la libertà, coerente con la verità spesso taciuta che le autorità interiori sono sia maschili che femminili.