Lo scorso 4 ottobre il Parlamento ugandese ha approvato la legge nazionale sulle biotecnologie e sulla biosicurezza, nota come «The GMO Bill», poiché, di fatto, si concentra sugli Organismi geneticamente modificati (Ogm).

Una volta emanata, la legge darà al Consiglio nazionale della scienza e della tecnologia (Uncts) l’autorità di decidere quali varietà di colture Ogm introdurre, senza altre discussioni. E sono parecchie le sperimentazioni al momento in corso: tante varietà di mais, banane, manioca, tutti alimenti fondamentali della dieta ugandese che vedrebbero entrare in scena un’alternativa Ogm, con i conseguenti rischi in termini economici, agronomici e di mercato.

Le vere protagoniste però sono le banane, alimento base in Uganda proprio come per noi il frumento. Diverse multinazionali stanno lavorando per creare una super-varietà arricchita di alfa e beta-carotene, zinco e ferro e resistente alle malattie più diffuse (nematodi e punteruoli). Gli obiettivi dichiarati sono «migliorare l’alimentazione in Africa ed evitare perdite economiche per i piccoli agricoltori». Sulla carta una meraviglia: come tutti gli Ogm le superbanane salverebbero l’Uganda dalla fame arricchendo gli agricoltori. Certo. Peccato che queste promesse non siano state mantenute da nessuna delle colture Gm finora coltivate. Inoltre, la risposta a questi problemi esiste, senza che ci si metta a brevettare semi, devastare il paese con monocolture e chiedere royalties agli agricoltori.

Alcuni cibi locali, ad esempio, possono aiutare a superare i problemi di malnutrizione, come le varietà di miglio (tra cui le antiche varietà di miglio dei Teso di Kyere, Presidio Slow Food) ricche di metionina (un raro quanto utile aminoacido), le tante tipologie di amaranto (rosse e viola) ricche di minerali e vitamine, le varietà autoctone di carote hanno invece un elevato contenuto di vitamina A. Mentre l’agroecologia potrebbe offrire valide soluzioni al problema delle malattie, della fertilità del suolo e del corretto uso dell’acqua.

E allora perché seminare l’Uganda con una tecnologia fallimentare e superata – quali gli Ogm hanno dimostrato di essere – compromettendo gravemente il sistema alimentare locale a beneficio delle solite multinazionali?

Se ciò non bastasse, la nuova legge non prevede alcun obbligo di etichettatura e trasparenza e non dà quindi la possibilità agli ugandesi di scegliere con consapevolezza il proprio cibo. Convinti che la sovranità alimentare si conquisti attraverso la valorizzazione di colture locali, il supporto senza secondi fini agli agricoltori e l’informazione dei consumatori, abbiamo manifestato la nostra preoccupazione rivolgendoci ai media internazionali. Questa azione, insieme alle tante sollecitazioni della società civile, ha probabilmente spinto il presidente Yoweri Museveni a chiedere chiarimenti al suo Parlamento con una lettera ufficiale, rifiutando di fatto la firma di approvazione.
Una piccola conquista che ben ci fa sperare per il futuro, un primo e sicuro passo per una riflessione collettiva e verso l’Uganda libera da Ogm.