Il pugno duro del presidente turco Recep Tayyp Erdogan non si placa. Dopo la censura della stampa critica, vicina all’islamista radicale in esilio negli Stati uniti, Fetullah Gulen, quattro studenti anti-Erdogan sono stati arrestati ieri nell’Università di Ege. Le parlamentari di giugno si avvicinano e la strategia del leader dell’Akp è chiara: contenere ogni contestazione e includere i kurdi turchi nelle istituzioni dello Stato.

Sebbene Abdullah Ocalan, leader kurdo in prigione in Turchia dopo essere stato estradato dall’Italia, abbia confermato la fine della lotta armata, nel caso venisse rispettato un decalogo per l’inclusione progressiva dei kurdi, lo storico accordo suona a molti strumentale. E servirebbe ad assicurare a Erdogan il sostegno kurdo alle prossime parlamentari. «L’Akp cerca di estendere il consenso elettorale tra i kurdi. Già alla vigilia delle presidenziali del 2014, l’allora ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, è andato a Diarbakir proclamandosi fratello dei kurdi, ha detto che sarebbe stata insegnata la lingua kurda nelle scuole. Che si tratti di un tentativo strumentale lo dimostra il mancato sostegno turco alla Repubblica di Rojava», spiega in un’intervista al manifesto la nota attivista kurda e per la difesa dei diritti delle donne, Berivan Cizre.

E così, sebbene Kobane sia stata liberata grazie alla forza dei combattenti kurdi delle Unità di protezione popolare, braccio armato del Partito democratico unito (Pyd), aiutate dai kurdi di Ocalan, per questi attivisti, già con la presa di Sinjar dell’agosto scorso da parte dello Stato islamico (Isis), si è aperta una ferita. «Quando il Partito democratico kurdo iracheno (Pdk) di Mohamed Barzani ha lasciato Sinjar all’Isis, i kurdi siriani e turchi hanno vissuto quella fase come un tradimento del popolo kurdo.

Da allora, Barzani ha capito bene di aver bisogno dei kurdi di Ocalan e dei kurdi siriani del Pyd. Mentre inviava i peshmerga a sostegno dei combattenti kurdi siriani, è entrato nei campi profughi, si è seduto tra i rifugiati e ha ringraziato i comandanti del Pkk. In ogni caso Barzani ha inizialmente tradito il popolo kurdo lasciando Sinjar a se stessa: questo nessuno potrà mai dimenticarlo», prosegue Berivan.

Anche i kurdi iracheni si sono trovati nel pieno del confronto politico tra governo turco di Erdogan e i kurdi di Ocalan. Non solo loro, i primi a pagare le conseguenze dello scontro politico in corso in Turchia è stata la diaspora in Europa e le tre attiviste kurde uccise a Parigi il 10 gennaio 2013: tra loro Sakine Cansiz, tra i fondatori del Pkk. «Il giorno prima del suo assassinio, Sakine doveva andare sulle montagne kurde per recapitare le proposte dei kurdi che vivono nelle capitali europee in merito ai colloqui per il cessate il fuoco con le autorità turche che sarebbero poi state condivise con Ocalan», ci spiega l’attivista.

«Sakine ha trascorso 22 anni in carcere: è uno dei simboli della resistenza delle donne kurde, ha sostenuto con fermezza e convinzione la rivoluzione e l’identità del popolo kurdo, formandosi in prigione. Uscita di prigione si rifugiò nelle montagne del Kurdistan e poi venne in Europa dove ottenne i documenti come rifugiato politico in Francia. Sakine ha fatto parte della Commissione per il processo di pace. E ha incontrato tante volte Ocalan nella valle della Bekaa in Libano», aggiunge.

In particolare, l’assassinio di Sakine sarebbe stato commissionato in Turchia. «I mandanti sono i servizi turchi, manovrati dal leader radicale Fetullah Gulen che voleva sabotare il negoziato di pace per il cessate il fuoco tra autorità turche e Pkk. I servizi segreti legati a Gulen avevano già tentato di sabotare i colloqui diffondendo informazioni sulla stampa turca in merito agli incontri tra kurdi ed Erdogan: il suo scopo è stato di mettere in allerta l’opinione pubblica turca contraria all’accordo con i kurdi», rivela l’attivista. «In un video riservato, Gulen dice direttamente: ’bisogna tagliargli (Pkk, ndr) la testa, sono miscredenti che divideranno la Turchia’», aggiunge l’attivista.

Nonostante questo i colloqui sono andati avanti e con la lettera del Newrooz 2013, Ocalan ha dichiarato la fine del conflitto armato e ha chiesto il ritiro dei guerriglieri kurdi.

«Chi ha ucciso materialmente Sakine era il suo interprete e autista, Omer Guley (arrestato il 17 gennaio 2013 a Parigi). L’ha portata in macchina nell’ufficio della rappresentanza dei kurdi. Prima di andare in ufficio Sakine si è fermata a prelevare dei soldi in banca. Poi è salita in ufficio, le telecamere mostrano un uomo che entra e non esce». Con lei sono state uccise anche Fidan Dogan, rappresentante del Congresso nazionale del Kurdistan (Knk) con base a Bruxelles (che aveva più volte incontrato Hollande come rappresentante del movimento) a cui hanno sparato in bocca, e Leyla Soylemez, una giovane attivista.

«Sakine è stata uccisa dai servizi turchi ma i francesi non potevano non sapere. I kurdi che fanno politica vengono seguiti dai servizi segreti francesi costantemente. Il turco che l’ha uccisa si era infiltrato nel movimento tre o quattro anni prima», conclude Berivan.