La scaletta è già pronta: la prima canzone in lista è Avanti popolo. Il Grup Yorum la suonerà stasera all’ex Snia di Roma. Appuntamento alle 21, il primo di una serie di concerti che li porteranno a Cagliari (il 27), a Bari (il 29) e a Lecce (il 2 ottobre). Sono arrivati in Italia grazie al Comitato Solidale Grup Yorum e a una raccolta fondi in giro per il paese che ha coinvolto movimenti, attivisti, associazioni, cittadini.

SEDUTI IN CERCHIO all’ex Snia, raccontano la loro storia, e non è facile. È lunga ed è piena. Da quella volta che «nel 1992 ci spararono contro a Diyarbarkir perché cantammo in curdo, la prima band turca che lo faceva in pubblico dopo che la giunta militare nel 1980 lo aveva vietato», fino all’estenuante battaglia degli ultimi anni contro la repressione martellante del governo dell’Akp. Una battaglia che prosegue, dicono, perché «le minacce sono continue e anche i processi per terrorismo contro i nostri membri».

I ragazzi seduti in cerchio sono tutti giovanissimi: nel 1992 non c’erano. Ci sono ora: «Il nostro gruppo si rinnova costantemente, arrivano sempre nuovi musicisti», dice Untu. Lui canta. Come Sena, seduta di fianco: «Tra i nostri obiettivi c’è quello di rinnovare la musica della tradizione, trasmetterla alle nuove generazioni».

«Siamo molto legati a certi strumenti, come il saz, e ai cantanti e i poeti della storia turca, come Pir Sultan Abdal. Prendiamo da loro che hanno saputo usare la musica come mezzo di resistenza. E poi trasformiamo quella tradizione in altro, mescolandola ad altri tipi di musica, sempre attenti a non perdere le nostre origini, a ricordare da dove veniamo».

E LA TRADIZIONE, vera, del Grup Yorum è politica. La loro è da sempre una musica di resistenza. Lo dicono i testi delle canzoni («Non siamo sconfitti, il dolore che abbiamo sofferto non è stato vano, guarda i semi che sbocciano con la pioggia primaverile»), ha portato negli stadi milioni di persone.

TRENTASEI ANNI FA, nel 1985, a fondare la band furono quattro studenti della Marmara University. Da allora la mutazione è stata continua, ma non l’ispirazione politica internazionalista e antifascista: cantano i lavoratori, i curdi e gli aleviti, chi si batte per la giustizia sociale, le donne.

Una lotta di classe in musica: «Abbiamo sempre cantato contro gli oppressori – continua Untu – Ci definiamo un gruppo musicale politico. La Turchia è un paese legato all’imperialismo da un cordone ombelicale. L’unica soluzione sarebbe una rivoluzione. Ma abbiamo una canzone che dice “Ne muore uno, ne nascono altri mille”».

Per quella resistenza a morire nella primavera del 2020 sono stati Helin Bolek e Ibrahim Gokcek. Sono morti di digiuno, scioperi della fame lunghissimi e invincibili contro le politiche di repressione messe in atto contro la band dal governo dell’Akp: il divieto di tenere concerti, la chiusura del loro centro culturale, l’arresto costante di membri del gruppo, taglie sulla loro testa. Helin si è spenta il 3 aprile 2020, pesava 33 chili e non toccava cibo da 288 giorni. Ibrahim il 7 maggio, non mangiava da 323 giorni.

«L’IMPATTO DEGLI SCIOPERI è stato enorme – dice Untu – Non volevamo scioperi fino alla morte, volevamo solo scioperi della fame. Protestare. Molti membri del nostro gruppo si trovano all’estero, tantissimi sono passati per le prigioni turche. Alcuni sono stati anche ricercati dall’Interpol. Il regime dell’Akp ha cercato di annientarci, ma abbiamo ricevuto sostegno da 50 paesi, l’Italia in prima fila. Questo è stato un segnale politico enorme».

«La pressione contro di noi continua – aggiunge Sena – Succede quando vuoi fare musica sotto un regime fascista. Ieri c’è stata una nuova udienza per una nostra musicista in carcere, Seher. Un canale tv, poco tempo fa, è stato multato per aver mandato in onda una nostra canzone. E il nostro centro è sì stato riaperto, ma subiamo continue minacce di chiusura».

Quel centro, difeso da Helin e Ibrahim con i propri corpi, è il cuore pulsante del Grup Yorum. È qui che si svolge la loro attività principale, la musica unita all’educazione politica e all’incontro: «Abbiamo creato cori popolari e l’Orchestra della Speranza, in cui suonano i bambini delle classi più basse – spiega Untu – Nel centro lavoriamo alla nostra rivista mensile, esce da quasi 40 anni. E qui abbiamo creato l’Assemblea dell’Arte, un luogo di incontro e dibattito per artisti e intellettuali».

NON SOLO IN TURCHIA, però: «A ottobre saremo ad Atene per un festival-simposio – dice Sena – con musicisti di vari paesi, per riprenderci la musica. Il sistema imperialista tenta di farci addormentare usando la sua arte, noi usiamo la nostra per ribellarci. Vogliamo dare spazio alla musica dei popoli».