Nell’ottobre 2019 erano l’uno contro l’altro al secondo turno delle elezioni presidenziali. Uno è famoso per parlare in arabo classico e aver condotto la sua campagna elettorale con meno di 30mila euro. L’altro possiede il canale privato Nessma TV e durante la tornata elettorale si trovava in carcere con le accuse di riciclaggio di denaro e frode fiscale.

Il primo si chiama Kais Saied, da due anni è il presidente della Repubblica e da un mese governa la Tunisia con poteri straordinari. Il secondo è Nabil Karoui, ha passato i primi sei mesi del 2021 nella prigione di Mornaguia e domenica scorsa è stato fermato a Tebessa, est dell’Algeria, con suo fratello Ghazi.

Le sue tracce si erano perse il 25 luglio scorso quando, a seguito delle manifestazioni contro il governo di Hichem Mechichi e il partito di ispirazione islamica Ennahda, il presidente ha applicato l’articolo 80 della costituzione congelando il parlamento, togliendo l’immunità ai parlamentari e sciogliendo il governo.

Saied contro Karoui. Due mondi agli antipodi che si sono incrociati nuovamente in una calda giornata di fine agosto. Da un mese a questa parte il responsabile di Cartagine sta arrestando deputati e uomini d’affari implicati in casi di corruzione, uno dei dossier a lui più cari e uno dei più sentiti anche dalla popolazione.

In questa vicenda c’è spazio per una terza storia che ha già fatto esprimere profonda inquietudine da parte della società civile: l’arresto in terra tunisina di Slimane Bouhafs, militante politico algerino che dal 2020 godeva dello status di rifugiato da parte dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati.

«Diverse testimonianze hanno riportato che macchine con delle targhe sospette si sono presentate il 25 agosto a casa sua e l’hanno portato verso una destinazione sconosciuta», si legge nel comunicato rilasciato lunedì scorso da più di 40 organizzazioni tunisine. Bouhafs fa parte del Movimento per l’autodeterminazione della Cabilia (Mak), classificato come «gruppo terroristico» da Algeri.

Nel frattempo è già stato consegnato alle autorità del suo paese e il sospetto, sollevato da diversi media, è che faccia parte di uno scambio tra Tunisia e Algeria: Karoui per Bouhafs.

«Le relazioni con un paese amico non devono instaurarsi sul mancato rispetto degli obblighi internazionali che proteggono i rifugiati e i richiedenti asilo», prosegue la nota.

L’arresto e l’estradizione di Slimane Bouhafs non sono gli unici aspetti che stanno preoccupando la società civile. Saied non ha ancora nominato un governo e le sue reali intenzioni sul futuro istituzionale del paese non sono state espresse pubblicamente. A una settimana dal 24 agosto, giorno in cui il responsabile di Cartagine ha fatto sapere di volersi rivolgere direttamente alla nazione dopo avere prorogato i propri poteri sine die, niente è dato sapersi.

«La messa in moto della fase post 25 luglio – si legge nella petizione firmata sabato scorso, tra gli altri, dal Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes) e dal Sindacato nazionale dei giornalisti tunisini (Snjt) – deve instaurarsi su un largo dibattito all’interno della società al quale possano contribuire le istituzioni della società civile e le forze democratiche e nazionali del paese. Le buone intenzioni non bastano per costruire un progetto per lo Stato».

Tuttavia nelle scorse settimane Saied aveva già risposto a queste domande. A chi gli chiedeva una mappa programmatica chiara, la sua risposta è stata «cercatela sulle cartine geografiche».

«Nel mese che ha seguito la presa di poteri da parte del presidente della Repubblica, quest’ultimo ha fatto spesso ricorso a delle interdizioni arbitrarie per i viaggi all’estero, aspetto che riguarda il potere giudiziario».

In un terzo comunicato in poco meno di una settimana, anche Amnesty International si è espressa su una delle storture istituzionali che interessano la Tunisia dal colpo di mano di Saied. Il presidente ha imposto dei limiti alla mobilità per quei uomini d’affari o personalità politiche sospettati di corruzioni o altri reati.

«Io non ho nessuna accusa pendente e non ho mai subito processi di alcun tipo – ci dice Anouar Bechahed, deputato del gruppo parlamentare Courant Démocrate – Sono andato all’aeroporto di Tunisi il 15 agosto per tornare in Francia dalla mia famiglia. Ai controlli di polizia mi hanno preso i documenti e dopo 20 minuti mi hanno detto che non potevo proseguire. A oggi non so ancora il perché, il tutto è avvenuto a voce e non è stato rilasciato un verbale».

Sempre secondo Amnesty, sono almeno 50 persone tra giudici, alti rappresentanti dello Stato e parlamentari a cui è stato proibito viaggiare. Il problema? Non esiste decreto presidenziale che lo prevede.