La guerra del Tigray rischia di essere un tipico esempio di eterogenesi dei fini: di «conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali». La situazione sul terreno appare più complicata dei rassicuranti comunicati ufficiali. Il Tigray sta trascinando l’Etiopia verso conseguenze impreviste dall’esito imprevedibile.

Primo dalle notizie che filtrano i combattimenti nel Tigray non sono finiti e continuano, secondo militari eritrei sarebbero ampiamente attivi, terzo militari eritrei (circa 2.000) secondo il quotidiano Sudan Tribune avrebbero attraversato il confine tra Etiopia e Sudan nei pressi di Wadi-al-Charab per supportare l’esercito etiope nella difesa dell’area contesa di al-Fashaq, quarto l’Eritrea ha inviato in queste settimane armi pesanti all’esercito somalo e una delle partite di scambio risulterebbe essere l’intervento di militari somali nel Tigray.

Secondo Somali Guardian in Eritrea sono stati addestrati almeno 10 mila militari somali per difendere il governo della Somalia dagli attacchi degli al Shabaab e una parte di queste reclute sarebbe stata inviata già dalle prime settimane di novembre nel Tigray. Mentre le truppe etiopi sono state in gran parte ritirate dalla missione Amisom in Somalia che sostiene il fragile governo locale. L’indebolimento di Amisom rischia di dare maggiore spazio alla destabilizzazione del governo federale somalo messa in atto dagli al Shabaab.

Tra le conseguenze non intenzionali c’è anche la fame che riguarderebbe in pratica tutta la popolazione del Tigray secondo quanto dichiarato all’Associated Press da Mari Carmen Vinoles, capo dell’unità di emergenza per Medici Senza Frontiere «bisogna aumentare urgentemente la risposta umanitaria perché la popolazione muore ogni giorno mentre parliamo».

«È un fatto quotidiano sentire di persone che sono morte per le conseguenze dei combattimenti e la mancanza di cibo» ha scritto in un appello il vescovo di Adigrat Tesfaselassie Medhin. Anche l’acqua scarseggia. «L’assistenza umanitaria continua ad essere limitata dalla mancanza di un accesso completo, sicuro e senza ostacoli nel Tigray, causato sia dall’insicurezza che dai ritardi burocratici. gli operatori umanitari sono stati in grado di fornire assistenza in alcune aree, principalmente nelle città, ma il numero di persone raggiunte è stato estremamente limitato rispetto ai 2,3 milioni di persone che stimiamo necessitino di assistenza», ha dichiarato il portavoce delle Nazioni unite Stéphane Dujarric.

La Commissione etiope per i diritti umani (Ehrc) durante le sue missioni sul campo ha potuto verificare la situazione in diverse città del Tigray evidenziando che sono presenti ancora carenze significative in termini di assistenza umanitaria, acqua, elettricità. La commissione ha verificato che l’ospedale di Humera era privo di personale, su 457 dipendenti ne erano rimasti solo 5 e gli altri erano fuggiti (dopo la metà di dicembre 116 risultano essere tornati), ma medicinali e attrezzature erano state oggetto di saccheggio. Le persone fuggite al rientro hanno trovato le abitazioni e le attività distrutte o occupate da altre persone.

La fame affligge anche i rifugiati eritrei presenti nei campi del Tigray, presso la città di Shire (circa 100 mila persone), «alla ricerca di aiuti che non sono disponibili» ha dichiarato l’Alto commissario delle Nazioni unite per i rifugiati Filippo Grandi.