È l’autunno del 2016, le elezioni sono appena passate, Donald Trump è il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Vengo a sapere che i figli di alcune mie colleghe all’università, che avevano votato entusiasti per Bernie Sanders alle primarie, hanno poi votato entusiasti per Donald Trump. Sono degli «sdraiati» all’americana, ben diversi da quelli made in Italy. Non stanno sdraiati affatto, anzi sono impegnati in mille attività, dallo studio allo sport a Netflix, ma nella parte sdraiata della loro mente hanno deciso che tra votare la Clinton e votare Trump, era più cool (più figo) votare per Trump. Vuoi mettere andare a un party e dire che hai votato per Hillary, ma scherziamo, sei diventato tua nonna?

SE VOTAVI per Trump eri uno dei cool guys, ed essere uno dei cool guys non solo è tutto, in America come in Italia, ma è anche più di tutto, perché non lascia spazio a nient’altro. Quando sei figo, sei solo figo.

Bene, che cosa faranno gli sdraiati del Texas ora che c’è un candidato democratico al Senato, Robert Francis «Beto» O’Rourke (classe 1972), che minaccia davvero di essere figo, mentre Ted Cruz, il candidato repubblicano, non sarebbe stato cool nemmeno negli anni più cupi della Guerra Fredda?

TED CRUZ ha deriso Beto per essere stato il chitarrista di un gruppo rock negli anni Novanta, i Foss. Ma metà di quelli che oggi sono repubblicani ha suonato in un gruppo rock negli anni Novanta. E i Foss non erano neanche da buttar via. Ecco Beto in giacca e cravatta che ci dà dentro, dal vivo a El Paso nel 1994, ed eccolo che fa skateboarding nel parcheggio di un posto di hamburger. Suonare in un gruppo rock è figo, no? E fare skateboarding non lo è forse altrettanto? C’è poco da scherzare su queste cose.

Una delle ragioni per cui Obama piaceva ai giovani, inclusi parecchi neri, era che aveva giocato a pallacanestro. Beto è stato arrestato due volte da giovane.

Una, per aver saltato una palizzata dell’Università di El Paso, in un posto dove evidentemente è illegale saltare palizzate; un’altra volta per guida in stato di ubriachezza. Più figo di così, cosa volete ancora?

Agli sdraiati non interessano cose noiose come l’assistenza sanitaria (tanto, grazie a Obama, hanno quella dei genitori fino a ventisei anni), la retta del college (papà e mamma se lo possono permettere), o la guerra contro gli immigrati (inclusi quelli regolari, anzi addirittura già cittadini) iniziata dall’amministrazione Trump lungo il confine tra Texas e Messico. I loro amici ispanici non abitano vicino alle zone dove passano le pattuglie dell’Ice (Immigration and Custom Enforcement, il nuovo nome della polizia di frontiera, quella che gli ispanici della generazione passata chiamavano la migra).

Se Beto O’Rourke, che è stato deputato dello Stato del Texas già tre volte, riuscirà a convincere i millennials (quelli nati a cavallo del Duemila) a lasciare il loro divano mentale per andare alle urne il 6 novembre, forse vincerà, portando un senatore democratico al Texas per la prima volta dopo il 1994. Se non ci riuscirà, i voti dei latinos non gli basteranno.

PERCHÉ I BIANCHI, in Texas, sono il 42% della popolazione, mentre il 58% è formato da ispanici, neri e asiatici, ma sarebbe un errore fatale credere che tutti gli ispanici siano democratici. Lo sono certamente nelle zone di confine, humus della campagna di Beto, che non è ispanico (è di origine irlandese) ma è fronterizo per sua definizione (Beto sta per Roberto). Il confine è il territorio che lui conosce bene, da El Paso a Brownsville, ed è lì che sa che cosa dire ai giovani di ogni razza ed estrazione: ci hanno ripetuto che noi qui non contiamo niente, che questa è terra di nessuno. Invece no, il confine è il futuro, l’ombelico del mondo. È proprio qui che si gioca tutto, è qui dove vale la pena di stare.

Vero; però il Texas è fatto di 254 contee, che Beto, cosa che gli fa onore, si è fatto scrupolo di visitare tutte. Ma in molte di quelle contee gli elettori che Beto non può convincere sono proprio gli ispanici che per integrarsi meglio sono diventati repubblicani, oppure che hanno deciso, e non saranno né i primi né gli ultimi a farlo, che ora che sono immigrati loro non deve immigrare più nessuno. Magari lo pensano ma non lo dicono, e come risultato non vanno a votare. In un’elezione normale, vota il 22% degli ispanici. Se Beto vuole vincere, deve farne votare almeno il 32%. In un’elezione normale, il Texas è il penultimo stato per percentuale di votanti. Ma questa non è un’elezione normale.

CERTO, IL RISULTATO nei sondaggi è già storico. A quanto pare, Beto e Cruz sono testa a testa, e non accadeva da più di vent’anni che un democratico potesse impensierire un senatore repubblicano, ma il testa a testa, o addirittura un minimo vantaggio (al quale faccio fatica a credere) è rilevato dai sondaggisti vicini ai democratici. Quelli conservatori come Quinnipiac danno Cruz in vantaggio di cinque punti almeno. Ed è molto probabile che abbiano ragione loro.

LE GRANDI CITTÀ del Texas saranno per Beto come erano già state per Obama e per Hillary. Il confine sarà per Beto, ma il Texas è immenso e sdraiato. Ed è anche saldamente controllato da una regolamentazione dei distretti elettorali che favorisce sfacciatamente le contee repubblicane. E presto arriverà Trump a sostenere Cruz, lo stesso Cruz che Trump nel 2016 aveva definito un bugiardo, arrivando a insultare sua moglie e a suggerire perfino che il padre di Cruz poteva esser stato implicato nell’assassinio di J. F. Kennedy. Non importa. Se i repubblicani perdessero un senatore in Texas, potrebbe partire un effetto domino in tutto il Sudovest.

FINORA BETO non ha fatto errori, soprattutto perché non si nasconde dietro a un dito. Le sue proposte sono quelle della socialdemocrazia americana, e non ha tentennato nella difesa dei diritti civili e della dignità degli immigrati. Si può attaccare un democratico perché è un democratico, ma è difficile screditarlo appunto perché si mostra per quello che è.

Che Cruz faccia errori è impensabile. Li ha già fatti tutti, è apertamente odiato anche dai suoi colleghi repubblicani, ed è ancora al suo posto. Che li faccia Trump nel sostenerlo è altrettanto inutile pensarlo. I texani per Trump sono i cosiddetti «trumpiani della 5th Avenue», quelli che anche se Trump si mettesse a sparare a qualcuno sulla Quinta Strada, come lui stesso aveva detto, lo voterebbero lo stesso.

L’ultima speranza sono gli sdraiati. Magari, se le loro mamme li portassero a votare come li portavano alle partite di football e poi li riaccompagnavano a casa…