Risultato a sorpresa nelle elezioni presidenziali e parlamentari in Tanzania. Il Ccm, il partito della rivoluzione fondato dal «padre della patria» Julius Nyerere, si conferma largamente maggioritario (più di quanto preventivato) ed elegge presidente John Magufuli con il 58% delle preferenze. Edward Lowassa, il candidato dell’opposizione, la coalizione Ukawa, denuncia brogli e chiede un riconteggio dei voti.

Mentre sulla terraferma sembra che l’annuncio di ieri della Nec (National Electoral Commission) non abbia avuto ricadute negative, nell’arcipelago di Zanzibar – composto dalle isole di Unguja e Pemba – il clima è più teso. Come riportato dal manifesto giovedì scorso, nell’arcipelago semi-autonomo le elezioni sono state annullate per gravi irregolarità. Il Cuf (Civic United Front) – partito autonomista di opposizione molto radicato a Zanzibar – aveva annunciato di aver vinto la competizione elettorale già lunedì, e il sospetto è che la commissione elettorale abbia annullato i risultati per non dover ammettere la sconfitta del Ccm.

Commissione “presidenziale” Per l’opposizione ora la strada è in salita: la proclamazione dei risultati da parte della Nec non può essere contestata in via giudiziale. Già durante la campagna elettorale l’indipendenza della commissione elettorale era stata fortemente messa in discussione dall’opposizione, essendo la Nec interamente di nomina presidenziale.

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Il nuovo presidente tanzaniano John Magufuli (Reuters/LaPresse)

La distanza in termini di voti tra Ccm e Ukawa è consistente (quasi tre milioni) ma il sospetto che i risultati siano stati “maneggiati” rimane, in un paese che è noto per l’altissimo livello della corruzione nella pubblica amministrazione.
In campagna elettorale Ukawa ha cavalcato il sentimento di frustrazione della popolazione (soprattutto i giovani) nei confronti di una classe dirigente continuamente al centro di scandali di corruzione. Magufuli, nominato quasi per caso dal congresso del Ccm in luglio, ha fama di persona onesta e di ottimo amministratore – è stato ministro per i Lavori pubblici nel precedente governo, ma non sarà facile riformare una macchina burocratico-amministrativa nelle mani dello stesso partito ininterrottamente dal 1961.

Per i quattro partiti della coalizione Ukawa sembrava un’occasione storica per prendere il potere, nonostante la scelta di candidare Lowassa fosse alquanto discutibile. Quest’ultimo è stato primo ministro dal 2005 al 2008, dimessosi per uno scandalo di corruzione in cui in realtà non è mai stato direttamente implicato.

Scetticismo amico

Sulla sua figura però c’è sempre stato molto scetticismo in primis da parte dei partiti di opposizione. Lo scorso luglio sembrava dover essere il candidato designato dal Ccm in virtù del suo vastissimo appoggio popolare (nei giorni precedenti al voto sul ciglio della strada da Dar es Salaam alla capitale Dodoma quasi ogni albero era dipinto con il suo nome) ma venne escluso a sorpresa.

Poche settimane dopo il rocambolesco salto della barricata: la coalizione di opposizione sceglieva proprio Lowassa come candidato presidente.

Le reazioni furono forti da ambo le parti: il Ccm iniziò una campagna di denigrazione dell’opposizione accusata di essere – non completamente a torto – solamente un «Ccm di serie B»; mentre Willibroad Slaa – il segretario del primo partito all’interno di Ukawa – si dimise per protesta.

Pesanti accuse reciproche

La campagna elettorale è continuata con toni molto accesi per tutta l’estate, in un clima pacifico ma con pesanti accuse reciproche. Dar es Salaam a una settimana dal voto era completamente coperta da manifesti, poster e bandiere dei due maggiori partiti. Un clima più da competizione sportiva che politica, con discussioni interminabili in ogni strada, bus o caffè, che però spesso tralasciavano gli argomenti più importanti (primo fra tutti la proposta di revisione della costituzione portata avanti dal Ccm).

Certo raccogliere l’eredità di Nyerere sarebbe un compito ostico per chiunque nel paese: il primo presidente tanzaniano fu l’artefice dell’indipendenza ed è considerato da tutti molto più che un semplice politico; emblematico a questo proposito il fatto che tutti o quasi tutti gli uffici espongano la sua foto.

Il «padre della patria» Nyerere riuscì ad unire le più di cento tribù locali attraverso una lingua comune – il Kiswahili – e a cementare il senso di unità nazionale con la politica dell’ujamaa, una sorta di socialismo rurale che consisteva nella creazione di villaggi con una distribuzione egualitaria di terra e mezzi di produzione.

Nyerere poi era malimu – maestro di scuola (per questo ancora oggi la professione di maestro in Tanzania è altamente riconosciuta) – e sviluppò il sistema d’istruzione pubblica nel paese. Grazie a Nyerere in Tanzania tutti i cittadini sono bilingue: parlano Kiswahili e la lingua della propria tribù di appartenenza.

È ancor più paradossale quindi che oggi nel paese l’università costi praticamente come in Europa: sono disponibili dei prestiti per gli studenti, che però hanno enormi difficoltà a restituire il denaro.

L’educazione in extremis

In effetti Lowassa aveva scelto proprio l’educazione come tema “forte” dell’ultimo giorno di campagna, promettendo educazione gratuita dalla scuola primaria fino all’università. Sembrava che i giovani dovessero contribuire in maniera decisiva a dare una spallata al sistema di potere che controlla il paese da 50 anni, invece per la Tanzania non è ancora arrivato il momento per un cambio di governo.

In un paese in cui l’accesso all’acqua è attestato al 56% a livello nazionale (46 nelle aree rurali e 77 nelle urbane), dove imprese e cittadini devono sopportare i frequenti black-out energetici della compagnia elettrica nazionale, i problemi da affrontare per il nuovo presidente non mancano.

Il Ccm – il partito della rivoluzione – continuerà a gestire un’economia in costante crescita ma molto dipendente dal prezzo del petrolio e delle materie prime, con forti diseguaglianze tra villaggi e città e una forte spinta alla privatizzazione dei servizi (sanità ed educazione) e alla svendita del patrimonio naturale alle multinazionali occidentali.